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Addio a Lorenzo Marchiori

Si è spento Lorenzo Marchiori, storica firma de Il Gazzettino

Il giornalista, nato il 30 gennaio del 1969, è mancato a causa di una malattia durata molto tempo. Veneziano di origine, aveva lavorato nelle redazioni di Udine e Pordenone. Il nostro ricordo

Lorenzo era uno stronzo? Oh si, certo, non si comincia un coccodrillo chiedendosi se sia corretto o meno insultare chi non c’è più, ma stiamo parlando di LoMa. O Marki. Oppure Grande capo Marchioro. Anche Camillo alle volte. Quello su di lui, intendiamoci subito, non può essere un ricordo che rientra nei canoni dell’ordinarietà. Non lo accetterebbe mai. Vediamo quindi di analizzare le ragioni del suo caratteraccio. Era un saputello presuntuoso? Sicuro. Va però considerato che la presunzione è una sorta di condizione dovuta per iniziare a far parte dell’ordine dei giornalisti. Senza quella caratteristica, pur con le pubblicazioni necessarie, c’è il rischio che il Consiglio rifiuti la domanda d’iscrizione. Su questo aspetto, quindi, è in compagnia numerosa. Mamma mia, il fastidio che mi suscitava quando discutevamo degli autori che avrebbe introdotto a Pordenonelegge, muovendo dal presupposto che soltanto lui avrebbe potuto interpretare quel ruolo, era leggendario. Io cercavo di dissimulare la mia disapprovazione per quello stile e Marki, percependo nettamente il tutto, rincarava la dose. Una guerra di nervi che sublimava la nostra discussione. Andiamo avanti con l’indagine. Pensava di essere arrivato sempre prima di te sulla notizia, tanto da farti irritare anche nelle situazioni in cui era in effetti così? Senza dubbio. Provate però a scambiare due chiacchiere con chi fa la nostra professione. A caso. Se trovate qualcuno che nella ciarla non abbonda di “sì, lo sapevo” e di “risulta anche a me” tenete presente che nell’ambiente apparrà assai poco credibile. Tipo quelli che se non si lamentano del lavoro non sembra nemmeno che lo stiano facendo. Serbava parecchio rancore per i torti subiti? Non esattamente. O meglio, osservandone l’atteggiamento e le prime dichiarazioni sui diversi temi in questione sembrava di sì. Poi si sconfessava con il procedere delle parole. Lo storico di situazioni e soggetti che lo avrebbero penalizzato negandogli una carriera migliore, secondo la sua opinione, era consistente. Di conseguenza nei discorsi affrontati assieme si palesavano tanti protagonisti di queste ipotetiche malefatte. Poi, per curiosità, si approfondiva il caso di specie e alla fine Lorenzo chiudeva sempre la valutazione con frasi tipo “mah, in fondo non è malvagio”. Riteneva di avere un livello assoluto di competenza su musica, calcio e pallacanestro? Hai voglia. Sul primo di questi aspetti abbiamo dibattuto a volontà al bancone del pub dove chiudeva spesso la serata post lavorativa fino a qualche anno fa. Pareva, dal tono che si dava, di parlare con un incrocio tra Herbert Von Karajan e Gino Castaldo. Non era affatto così, perché nessuno è così. Del secondo argomento non aveva più voglia di parlare, anche se l’Inter e il Venezia sono sempre stati per lui dei grandi cavalli di battaglia. Sul terzo, occupandosene in maniera relativa per il giornale, c’era molto più trasporto. Gli scudetti della Reyer lo avevano reso euforico, tradendo la natura di entusiasta che non voleva apparisse a chi non faceva parte dei suoi affetti più intimi. Io ridimensionavo la cosa per provocarlo. “Non ha vinto Venezia, ha perso Milano” incalzavo. Lui faceva lo spocchioso, riuscendoci bene e alimentando la mia invidia per dei titoli che Udine non ha mai vinto e che non so se vincerà mai. Il primo incontro non lo ricordo, ma è molto probabile che l’avessi valutato in maniera negativa. L’ultimo in via Muratti. Era seduto fuori dal bar dove andava sempre. “Mi accompagni a casa?”. Abbiamo fatto il tratto, breve, dal caffè verso il suo appartamento a braccetto, perché non perdesse l’equilibrio. Passando accanto a quelli che negli anni più recenti, dopo il trasferimento in via del Freddo, sono diventati i suoi posti di riferimento – pizzeria al taglio, enoteca, paninoteca – lo salutavano gestori, camerieri e clienti abituali. Tutti col sorriso affettuoso e una malinconia che non dimenticherò mai. 

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