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Cronaca Fiumicello

Giulio Regeni e le «bugie dei poliziotti egiziani»

Il racconto, al Corriere della Sera, di una familiare della "Banda dei 5", accusata dalle autorità nordafricane di aver rapinato e ucciso il giovane ricercatore friulano

Rasha, la sera del 24 marzo, ha perso padre, marito e figlio, crivellati assieme a due altre persone al Cairo. Nessun attentato o guerra di bande, ma un vero e proprio omicidio di Stato perpetrato dalla polizia egiziana, bisognosa di dare un volto e un corpo a quelli che avrebbero dovuto rappresentare il capro espiatorio della vicenda Regeni, la famosa “Banda dei 5”. Poche ore dopo la sparatoria è stato annunciato in pompa magna che i documenti del ricercatore italiano erano stati ritrovati dentro una borsa rossa nell’appartamento della zia di Rasha e Sameh, nel quartiere popolare di Shobra El Khema. 

La donna è stata intervistata dal Corriere della Sera. Come riporta il quotidiano milanese “non sa leggere né scrivere, appartiene a quella classe sociale che gli egiziani chiamano «shabi», gente delle zone rurali o relegata ai margini densamente popolati della megalopoli. Gente che ai margini è destinata a restare. Possono trovare il modo di fare soldi, possono tirarsi un po’ fuori dalla massa della loro comunità, ma venirne fuori no, mai”.

LA VERSIONE DEI FATTI DI RASHA. Il marito e il fratello della donna - secondo il suo racconto - dovevano andare insieme per un lavoro di imbiancatura a Nuova Cairo, ma lei non si fidava del marito donnaiolo e quindi aveva chiesto al padre e ad un amico del padre di accompagnarli. Rasha, apprensiva, ha chiamato il marito tra le 7 e le 8 del mattino, ma dall’altra parte  Non ha risposto, ma ha sentito solo la voce del fratello che sembrava stesse parlando con un poliziotto per giustificarsi. È così andata al commissariato per avere notizie sui suoi familiari, e lì ha scoperto che erano morti. Ha poi denunciato la sua versione al sito «dotmasr», insieme ai famigliari degli altri due uccisi, ma chi contraddice le autorità viene arrestato, e infatti adesso è ricercata. 

I PRESUNTI AVERI DI GIULIO. Al Corriere Rasha chiarisce anche la vicenda del ritrovamento delle cose riferite a Regeni.

«Quella borsa era di mio fratello Saad. Il portafogli con la scritta “Love” è di mia madre. I soldi erano il frutto della vendita di un’auto a un tizio di Dubai. La polizia ha messo i documenti tra le nostre cose durante la perquisizione. Non può essere stato nessun altro. E la prova è che tra gli oggetti c’è il portafogli marrone di mio cognato: lo aveva con sé quando lo hanno ucciso».

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