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Venerdì, 26 Aprile 2024
Cronaca

Patto criminale italocinese per gestire i rifiuti, coinvolta una società udinese

Antonio De Nicolo, procuratore capo Trieste: "Traffico inedito con doppio giro di nero, una cosa sconvolgente"

Cinque arresti e cinquantotto indagati per l'operazione Via della Seta condotta dalla guardia di finanza di Pordenone. Un commercio fraudolento di di materiali ferrosi e non – rame, ottone, alluminio – normativamente inquadrabili nella categoria dei rifiuti metallici non pericolosi, con un valore complessivo di circa 300 milioni di euro, di cui circa 150 milioni trasferiti in Cina. I militari hanno oltre disposto sequestri per 66 milioni di euro. Sono sedici le società italiane coinvolte, di cui una in provincia di Udine, il cui rappresentante legale è indagato per fatture false, e tre quelle estere, due con sede in Repubblica Ceca e una in Slovenia. Questi alcuni dati della complessa attività investigativa partita già nel 2018. Erano state rilevate anomale movimentazioni finanziarie tra un'impresa con sede nella Repubblica Ceca ed una neocostituita azienda della provincia di Pordenone. Alla fine si è scoperto un patto tra criminalità italiana e cinese consistente in una maxi frode fiscale internazionale, attività di riciclaggio e traffico illecito di rifiuti.

Le indagini

Grazie alle intense attività di indagine con intercettazioni di vario genere, pedinamenti occulti, monitoraggi video di aree di stoccaggio, uffici e caselli autostradali, nonché captazioni informatiche, il nucleo di polizia economico-finanziaria, ha ricostruito un diffuso e importante traffico di rottami metallici, di ben 150 mila tonnellate, avvenuto nel periodo 2013 – 2021. Tutto in totale inottemperanza degli obblighi ambientali e di tracciatura vigenti. Venivano utilizzate fatture per operazioni inesistenti, allo scopo di vendere rottami ferrosi a nero, evadendo le imposte, e permettere ai destinatari delle fatture di documentare costi mediante l’annotazione di documenti fittizi, con la relativa riduzione della base imponibile. Inoltre, così, non venivano eseguiti i previsti obblighi documentali di monitoraggio disciplinati dalla normativa ambientale.

Le modalità

Prima di tutto si creavano, in Italia, società ad hoc con funzioni di intermediari nel commercio di rottami metallici. Queste società si inserivano nella filiera commerciale e contattavano le aziende originatrici/produttrici del materiale ferroso e le acciaierie.

In seguito, veniva realizzate fittizie operazioni di acquisti di materiale ferroso all’estero giustificato da fatture per operazioni inesistenti, emesse da società compiacenti con sede nella Repubblica Ceca e in Slovenia. Tali acquisti intracomunitari, esistenti solo sulla carta, erano finalizzati a ottenere documenti contabili che facevano apparire come rottami lecitamente acquistati da imprese estere. Documenti che ne attestavano falsamente la regolarità secondo i requisiti richiesti dalla normativa europea.

Questa documentazione fiscale e ambientale generata dalle operazioni fittizie inesistenti consentiva a terze aziende manifatturiere di operare la vendita di scarti di lavorazione metalliche a nero altrimenti non perfezionabili tenuto conto che le acciaierie non si prestavano a tali procedure illecite.

Grazie a bonifici bancari, che le società ponevano in essere per simulare la genuità delle operazioni, sono stati scoperti circa 150 milioni euro pagati da parte dell’organizzazione a favore di società missing trader ceche e slovene. Contemporaneamente queste somme venivano ritrasferite, sempre mediante sistema bancario, in istituti di credito ubicati nella Repubblica Popolare Cinese, nei cui bonifici venivano indicati quali causali importazioni inesistenti, di acciaio e ferro in Europa dal paese asiatico.

Le indagini, di natura tecnica, consentivano successivamente di scoprire la natura artefatta di tali operazioni ma soprattutto l’esistenza di un accordo tra criminalità italiana e cinese.

Da una parte il sodalizio criminale italiano riferito alla commercializzazione illecita di materiale ferroso che, avendo inviato presso istituti di credito sloveni e cechi ingenti disponibilità finanziarie per i fittizi acquisti, avevano poi la necessità di farle rimpatriare nel territorio nazionale al fine di retrocedere le somme agli imprenditori che avevano pagato fatture per le inesistenti forniture.

Dall'altra, alcune comunità cinesi residenti in Italia che, per contro, disponevano, nel territorio nazionale, di ingenti risorse finanziarie in denaro contante, buona parte frutto di economia sommersa, nonché altre attività di tipo criminoso, da dover spostare nella Cina Popolare con evidenti difficoltà logistiche e legali correlate alla detenzione di così ingenti disponibilità detenute con liquidità contante.

La dichiarazione

Un traffico dalle caratteristiche inedite così lo definisce il procuratore capo di Trieste, Antonio De Nicolo: "Pensavamo di avere solamente delle frodi fiscali davanti ma col proseguire delle indagini abbiamo trovato un doppio giro di nero che ci ha sconvolto." De Nicolo ha spiegato che c'era "un gruppo che aveva un obiettivo, quello di far retrocedere in nero quello che è andato all'estero in chiaro, e un altro con l'obiettivo opposto di portare in Cina del denaro in chiaro tenendosi il nero qui." Si è quindi assistito alla fusione di due organizzazioni che prima non avevano un contatto di nessun tipo e, di conseguenza, è stato molto complicato scoprire questo meccanismo. "Ma lo abbiamo fatto grazie all'elevatissima professionalità della Guardia di Finanza" conclude il procuratore capo.

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