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Sanità pubblica / Latisana

Medici a 14 euro l'ora? La replica degli interessati: "Non siamo sottopagati"

Gli specialisti argentini che operano in Friuli rispondono a quanto sostenuto nel servizio di "Fuori dal coro" su Rete4. "Superiamo i 4mila euro al mese con tredicesima e quattordicesima"

Ha fatto rumore nei giorni scorsi il servizio di "Fuori dal coro" girato in Friuli riguardante l'impiego di medici argentini che, secondo quanto descritto, sarebbero sottopagati. Il gruppo di specialisti sudamericani ha voluto replicare a quanto affermato con una nota ufficiale.

"Siamo molto dispiaciuti per quanto apparso su Rete4 con notizie che non rappresentano la realtà dei fatti e intendiamo quindi portare la nostra testimonianza per fare chiarezza. Siamo medici specialisti assunti con contratto regolare a tempo indeterminato, con uno stipendio netto in busta paga che mediamente supera i 4.000 euro al mese, oltre a 13a e 14a; non comprendiamo come si possa dire che siamo sottopagati quando la nostra busta paga è molto buona! Viene detto che lavoriamo tantissime ore e anche questa informazione non è vera: abbiamo sempre i riposi garantiti e le ferie concesse, anche quando non sono state ancora maturate per intero! Non accade praticamente mai che facciamo più ore di quelle previste, più frequentemente accade il contrario. Siamo inoltre amareggiati dell'immagine professionale che si è data di noi: abbiamo seguito percorsi universitari tali e quali a quelli italiani, abbiamo fatto la specializzazione, abbiamo lavorato in pronto soccorso, reparti, ambulatori, sale operatorie. Quindi non c'è motivo di disegnarci come medici di Serie B".

Le ragioni della scelta professionale 

"L'offerta di venire in Friuli – si legge nel comunicato – è stata chiara e trasparente fin dall'inizio, dai colloqui fatti online. La società ci ha pagato le spese per il volo di arrivo (a volte anche delle nostre famiglie) e ci ha garantito subito la disponibilità di un alloggio per il tempo necessario a organizzare la nostra vita italiana (spesso un mese, a volte di più) e l'alloggio offerto era spesso un hotel (decoroso, confortevole e idoneo alle nostre necessità). L'inserimento è stato fatto affiancandoci all'inizio con colleghi italiani per avere il tempo necessario di apprendere le procedure specifiche del posto di lavoro. Il patto, chiaro da subito, era garantirci stablità per almeno tre anni. Se il patto non è rispettato spetta a noi rimborsare le spese che la società ha sostenuto per noi all'arrivo in Italia e la quota stendiale (superminimo) ricevuta proprio a tal fine: ma se le esigenze cambiano, abbiamo davanti un datore di lavoro, Salvatore Guarneri, con cui possiamo sempre parlare. Tra noi c'è un rapporto umano che va oltre quello di lavoro. Anche per questo non possiamo restare in silenzio: siamo stati supportati per superare i momenti di sconforto, siamo stati difesi dalle aggressioni interne agli ospedali ed esterne (stampa locale e la stessa tv) perché stranieri e a volte forse imprecisi nel linguaggio. Quando da fuori ci hanno messo un'etichetta senza conoscerci, senza capire se facciamo bene il nostro lavoro. Siamo spinti a ad andare oltre, a essere più forti, a migliorarci perché, come noi sappiamo, anche Salvatore è stato un emigrante al nord un po' come noi che però abbiamo attraversato un oceano, ma i pregiudizi sono sempre gli stessi. Davvero non riusciamo a comprendere perché succeda questo, forse perché ci ha difesi quando siamo stati aggrediti?".

Un gruppo unito

"Siamo un gruppo di lavoro ma non solo – chiudono i medici –, siamo una squadra, e questo spirito ci spinge anche a incontrarci fuori dal contesto lavorativo, a condividere momenti di svago mangiando l'asado o il frico per il piacere di incontrarci. Quindi no, non è solo un rapporto tra datore di lavoro e dipendente. C'è un po' di più ed anche per questo ci sentiamo in dovere di smentire le parole assurde ascoltate da parte di chi ha fatto apparire le cose come quelle che non sono. Noi non ci sentiamo sfruttati, stiamo crescendo professionalmente e stiamo cercando di integrarci nel territorio. Molti di noi hanno iscritto i figli a scuola e siamo ben contenti di non avere l'incertezza di un contratto a termine. Oggi in Friuli siamo circa in 80. Una piccola comunità che si compone di noi medici, delle nostre mogli e mariti (spesso anche loro medici o professionisti qualificati), dei nostri figli o anziani genitori. Nella terra che ci hanno raccontato i nostri nonni e bisnonni, dove nascono le nostre radici. I nostri cognomi parlano per noi. Siamo i medici di E-Health."

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