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Economia

Etichettatura della carne: "così si spacciano molti prodotti per italiani"

Cressati (Confagricoltura) si dice contrario al nuovo regolamento, che "nazionalizzerebbe" gli animali nati in altri stati: "così si rende tutto più complicato e il consumatore non sa quello che mangia"

Non soddisfa Agrinsieme (il coordinamento nazionale cui aderiscono Cia, Confagricoltura e l’Alleanza delle Cooperative Agroalimentari) il Regolamento comunitario sull’etichettatura di origine delle carni fresche varato alcuni giorni fa dalla Commissione europea e che si applicherà dal 1° aprile 2015 alla carne di suini, ovicaprini e pollame commercializzata nell’Ue anche se originaria di Paesi terzi.

«Il meccanismo per indicare l’origine delle carni, in particolare per quanto riguarda i suini, non tutela pienamente il consumatore in fatto di chiarezza, è complesso e, anche per questi motivi, contrasta con gli interessi degli allevatori italiani - commenta Claudio Cressati, presidente di Confagricoltura Fvg -. Abbiamo chiesto da sempre di rendere obbligatoria l’indicazione del luogo di nascita dell’animale in analogia con quanto previsto da diversi anni per la carne dei bovini e si è preferito invece non informare il consumatore su questo importante aspetto. Inoltre avevamo ritenuto opportuno e necessario, per assegnare l’origine, che l’animale dovesse essere nato, allevato e macellato in un medesimo Stato membro. Questa sarà solo un opzione e non la regola generale. E sarà invece possibile “nazionalizzare” gli animali nel caso di presenza in allevamento per un certo numero minimo di mesi. In questo modo - avverte Cressati -, sarà possibile a esempio “nazionalizzare” la  produzione suinicola estera allevata solo per 120 giorni in Italia.

E anche qui il Regolamento è stato meno attento alle nostre produzioni: Confagricoltura aveva chiesto che l’origine fosse assegnata in corrispondenza di almeno sei mesi di allevamento, non solo i quattro previsti dal Regolamento; così non si rispetta neanche il criterio di prevalenza della durata del ciclo. Alle nostre richieste – conclude Cressati – ci è stato sempre opposto che il criterio da noi individuato fosse troppo complesso da gestire. Sfidiamo però a dimostrare che i meccanismi del Regolamento approvato siano più lineari e comprensibili dai consumatori. A noi non pare così e riteniamo che l’Ue debba ripensarci: questo nell’interesse dei nostri allevatori, delle nostre filiere zootecniche e anche dei consumatori».

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