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Friuli e aperitivi / Piazzale Cella Gio Batta

Aperitivi già alle 4 del pomeriggio e uomini che tracannano alcol, Udine raccontata dalla giornalista Mediaset

Serenella Bettin, inviata di “Fuori dal coro”, ha tracciato un profilo desolante del modo di vivere la vita extra lavorativa degli udinesi

Aperitivi alle 4 del pomeriggio, donne sole accompagnate solo dal loro bicchiere di vino rosso, uomini panciuti che tracannano alcol a più non posso. È la lettura di un lunedì pomeriggio udinese secondo Serenella Bettin, inviata di “Fuori dal coro” di Rete4, in città per la questione della delinquenza giovanile. Lo ha raccontato sui suoi profili social. 

“Prima almeno fammi pisciare”.

Entro in un locale a Udine che saranno le quattro del pomeriggio. È appena uscito il sole e vedo gente in maniche corte. Come è bizzarra la vita. Esci di casa col temporale, con l’acquazzone che non lascia scampo nemmeno ai tombini che si riempiono tutti, e ti ritrovi dopo qualche ora e qualche madonna di troppo col sole primaverile che quasi spacca le pietre. Qui la gente ha già iniziato a fare l’aperitivo. “Ci sarà un motivo” mi disse una volta uno dei miei più cari amici che fa il medico “se le cliniche per i trapianti di fegato sono tutti al nord. Sarà che i beoni sono tutti lì”. “Può essere”, gli avevo risposto. Ma all’epoca ancora non mi interessavo dei risvolti sociologici della città. Detta tra noi. Me ne sbattevo altamente il cazz. E vivevo meglio. Insomma vedo sta gente che alle quattro del pomeriggio di pieno lunedì fa l’aperitivo che si preannuncia bello lungo. Ordino un caffè. La troupe anche. E mi infilo un attimo in bagno. Con la coda dell’occhio continuo a fissare quella ragazza che mi sta dietro e che continua a guardare lo schermo del telefono con davanti un bicchiere di rosso. Sembra abbarbicata qui da tempo. Ha le labbra carnose. I capelli che le cordonano il volto. Una salopette di jeans. E sotto indossa una maglia gialla. Che tristezza penso. Qualunque sia il motivo del suo essere così da sola, così davanti a quel vino rosso, credo non ne valga la pena. Soprattutto se fosse un lui. Vorrei andarglielo a dire ma la mia discrezione per le storie degli altri mi impone di rimanermene zitta. Vado in bagno e ci sono quelli con la turca. Dopo di me entra un padre con il figlio e veramente non capisco come faccia a farlo pisciare lì. Esco dal bagno e all’improvviso la gente inizia ad arrivare a frotte. Non capisco nemmeno dove vadano. Chi ordina un prosecco. Chi un rosso. Chi uno spritz. Chi pane salame e quant’altro. Davvero non capisco come facciano a mangiare e bere tutto quello e sono solo le quattro del pomeriggio.

Un uomo fuori, con la pancia da birra, si è appena levato la felpa. Ora boccheggia in maniche corte tracannando vino bianco a più non posso. Un altro indossa un cappello e mi pare già abbasta su di giri. Mi avvio verso la stazione dei pullman. Sono qui che stanno le baby gang. Così le chiamano gli studiosi dei fenomeni sociali che etichettano le persone, funziona un po’ così. Li prendi e li incaselli dentro a dei riquadri e poi vedi se hanno le stesse caratteristiche. Ma di baby questi, non hanno proprio niente. Catene ai Jeans. Orecchini. Capelli tirati. Laccati. Accenti a noi sconosciuti. Parole in arabo. Dove non capisci una mazza. Appena mi avvicino a un ragazzo questo si alza in piedi e mi dice: “Scusi, scusi”. Cacchio penso devo fare proprio così paura. Così mi raccontano che sono egiziani. Che vivono in comunità. Che vogliono i documenti. Che stanno dentro la casa accoglienza. Ma che vogliono andarsene per lavorare e fare soldi. Poi ci sono i tunisini. Qui fanno le risse quasi ogni giorno. Faccio un giro, paro con gli autisti degli bus. Con i controllori. Le persone. I pendolari. Quelli che vanno a lavorare. Quelli che tornano dallo studiare. La gente ha paura. Torno indietro. I ragazzini si sono messi difronte a me. Urlano qualcosa in arabo che con tutta la mia più buona volontà fatico a comprendere. In questa babele di lingue mi viene in mente quell’altro. Quell’altro di prima. In dialetto stretto: “Prima almeno fammi pisciare”.

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