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25 anni di Udinese-Ajax, perché quella partita è ancora un mito

Il club della famiglia Pozzo ha giocato e vinto diverse gare, anche in campo continentale, più prestigiose sulla carta di un sedicesimo di finale della vecchia Coppa Uefa. Quella del 4 novembre 1997 è però ancora ricordata da tutto il tifo bianconero come la madre di tutte le sfide europee. Le ragioni

"Per tutta la nostra vita, dalla nascita alla morte, noi siamo dentro la storia. Quando veniamo al mondo abbiamo già una storia e quando ce ne partiamo lasciamo ai nostri figli una storia. La storia dell'uomo è innanzitutto la storia delle sue condizioni di vita: la pioggia che cade abbondante in Friuli è importante come la spada di un Patriarca, la patata, arrivata in Friuli alla fine del '700, è sullo stesso piano del trattato di Campoformido…”. Se è vero quello che scrive Tito Maniacco nel suo “I senzastoria”, affresco epocale che racconta il nostro territorio e i suoi sviluppi dalle origini a oggi, è storia del Friuli anche Udinese-Ajax, che si giocava a Udine esattamente 25 anni fa. La squadra di Zac, come ricorderanno in tanti, perse all’andata ad Amsterdam per 1 a 0 (Dani) e vinse 2 a 1 in casa. Con le regole attuali si sarebbero giocati i tempi supplementari, ma il gol ajacide in trasferta (ahi, Arveladze) anestetizzò l’euforia delle reti di Bierhoff e Poggi. Erano i sedicesimi, con Calori e soci entrati in scena solo il turno prima, passato contro i polacchi del Widzew di Lodz. Può una partita di calcio, a maggior ragione una débâcle travestita da vittoria, rappresentare così tanto da essere entrata nell’immaginario collettivo più di altre gare, più importanti e nobili, giocate – e pure vinte – dal club della famiglia Pozzo negli anni successivi? Eccome se può.

Le ragioni del mito

L’Udinese era alla sua prima esperienza continentale in una competizione che, pur esistendo già la Champions League, aveva poco da invidiare alla sorella maggiore come prestigio e fascino. La finale parigina del Parco dei Principi, per dare l’idea del livello del torneo, se la giocarono la Lazio di Eriksson e l’Inter di Simoni. A deciderla in favore dei nerazzurri furono i gol di Zamorano, Zanetti e Ronaldo il Fenomeno. Gli olandesi, poi, non erano l’eventuale outsider di adesso, ma una vera e propria potenza a tutti gli effetti. Solo un anno e mezzo prima si erano giocati la finale della Champions contro la Juventus, allo Stadio Olimpico di Roma. In rosa c’erano diversi reduci di quel match: il portiere Van der Sar, capitan Blind, i gemelli de Boer, il numero 10 finlandese Litmanen. Abbastanza, per un club e una tifoseria alle prime armi con le esperienze internazionali di alto rango, per scoraggiare e spaventare.

Come andò

"Quello che conta è il percorso del viaggio e non l'arrivo" diceva Thomas Eliot. Quella Udinese interpretò l’aforisma del poeta americano nel migliore dei modi. Lo fece già a partire dall’andata, nell’attuale Johan Cruijff Arena, meritando almeno un gol (che non arrivò) e perdendo per 1 a 0. Salvo i fortunati che viaggiarono a Nord non fu possibile accorgersene in diretta. Nessuna televisione trasmetteva l’incontro in tempo reale. La Rai preferì dare Inter-Lione e non mandò nessuno in Olanda per raccontarla via radio. Ci si dovette affidare alla voce di Eddi Pertoldi, sul posto per una stazione privata, per sapere cosa stava succedendo. Alle 22 e 35, quando l’emittente di Stato iniziò con la differita della gara, la delusione era forte, ma guardando le immagini le suggestioni e i timori enfatizzati dall’attuale sindaco di Lestizza (capita così quando si ha passione da tifosi) lasciarono spazio all’idea che ci si potesse provare. Quel 4 novembre la città e il Friuli diedero tantissimo a livello di passione e coreografia, sublimando una settimana in cui l’argomento di discussione era univoco. Il triplice fischio dell’arbitro spense le speranze di proseguire l’avventura di Coppa, ma innescò una consapevolezza – tra i giocatori – che si tradusse nel terzo posto finale, tornando di nuovo in Uefa (dall’anno successivo in Champions ci andarono le prime 4). E ai tifosi, a parte il ricordo, cosa rimase? La convinzione, ancora adesso in essere, di aver perso la verginità della sconfitta europea nel più bello e crudele dei modi possibili.

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