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Mercoledì, 17 Aprile 2024
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Università di Udine: il progetto Bebi arriva alla Fao

Bebi (Benefici agricoli e ambientali derivanti dall'utilizzo del carbone vegetale nei Paesi africani) si pone l'obiettivo di preservare le foreste africane e aumentare la produttività agricola in Africa

Si chiama Bebi (Benefici agricoli e ambientali derivanti dall’utilizzo del carbone vegetale nei Paesi africani) l’interessante progetto coordinato dal professor Alessandro Peressotti del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali dell’Università di Udine, che si pone l’obiettivo di preservare le foreste africane e aumentare la produttività agricola in Africa. Finanziato dal programma “ACP Science and Technology Programme” dell’Unione europea, questo programma è stato presentato a Roma ai rappresentanti della Fao, dell’Unione europea, dell’Unione africana, della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas), dalle organizzazioni non governative (ong) e investitori internazionali la scorsa settimana.


 

Ma di cosa si tratta? Lo scopo è quello di diminuire l’abbattimento di intere foreste africane utilizzando, o meglio, incoraggiando l’utilizzo di carbone vegetale. Questo è un carbone molto particolare perché ha delle caratteristiche intrinseche che lo rendono un prodotto molto fertilizzante. Per produrre questo carbone l’Università di Udine ha realizzato uno speciale fornello da cucina, la stufa pirolitica chiamata “Elsa Stove”. Qui non vengono bruciati pezzi di legno, bensì biomasse non legnose. Attraverso, infatti, la combustione lenta e soprattutto in assenza di ossigeno di biomasse non legnose, viene prodotto il carbone vegetale.


 

In questo modo sono molti i vantaggi che si ottengono, prima di tutto per l’uomo: questa infatti è una stufetta a emissioni zero, perché non produce fumo. In questo modo, non solo si aiuta l’ambiente ma vengono limitate di molto le morti da malattie respiratorie caratteristiche proprio dei paesi in via di sviluppo. Utilizzando biomasse non legnose Inoltre viene scoraggiata la pratica dell’abbattimento delle piante. Si è infine visto che spargendo il carbone vegetale al suolo si è ottenuto un raddoppio della produzione agricola locale.

Per il momento sono state realizzate stufe solo nel Ghana, Sierra Leone e Togo, stufe materialmente realizzate dalle popolazioni locali dopo l’iniziale formazione. La stufa, infatti, è stata prima di tutto pensata per le esigenze di queste popolazioni e fatta in modo tale da essere prodotta anche con materiali poveri e facile da costruire.


 

Hanno giocato un ruolo fondamentale in questo progetto il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), le università di Lomè (Togo), Njala (Sierra Leone) e Cape Coast (Ghana) e le ong Asa-Initiative (Ghana), Sauve-Flore (Togo) e Cord (Sierra Leone), partner dell’Università di Udine.


 

«Grazie alle sinergie con i partner africani – spiega Peressotti – abbiamo individuato delle aree pilota in cui quantificare la biomassa non-legnosa disponibile e utilizzabile a scopi energetici. Quindi, coinvolgendo ong e istituti tecnici locali, abbiamo adattato la stufa alle esigenze della popolazione e al materiale costruttivo disponibile in loco». Inoltre, aggiunge Peressotti, «utilizzando specifici questionari distribuiti a popolazioni, politici, amministratori, produttori e commercianti è stata condotta un’indagine sulle caratteristiche della stufa e un’analisi sulla possibilità di creare un mercato interno nei Paesi coinvolti che favorisca la diffusione della “Elsa Stove”». 

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