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Pronto soccorso in piena crisi: attuato il piano di emergenza

Nella notte tra lunedì 19 e martedì 20 dicembre, con più di 100 pazienti in carico al pronto soccorso, è arrivato il direttore medico Luca Lattuada a testimonianza dello stato emergenziale dell'ospedale di Udine

È esplosa. Dopo giorni in cui la "temperatura" del pronto soccorso di Udine continuava a crescere, nella notte tra martedì e mercoledì la situazione è esplosa: più di cento i pazienti in carico contemporaneamente, con la paralisi pressoché completa del servizio, che ha portato a un collasso senza precedenti. La gravità si è concretizzata quando, alle 4 di mattina di martedì 20 dicembre, sono arrivati in pronto soccorso in seguito all’allarme del personale medico di emergenza, il primario e il direttore dell’ospedale. Da qui la decisione di attivare il piano di emergenza che prevede la riduzione delle attività di day hospital per spostare i pazienti del pronto soccorso in quello spazio (piano terra del padiglione 8). "Per aprire qualcosa, bisogna chiudere altro", ci spiega Luca Lattuada, direttore medico del presidio ospedaliero di Udine ASUFC, 

Da tempo

Giorni, settimane, mesi, anni. Questo è il periodo di difficoltà, crescente, che si sta registrando nell'ospedale di Udine. E, in generale, all'interno dell'Azienda sanitaria universitaria Friuli Centrale, più in grande in tutta la ragione e allargando ancora l'orizzonte in tutta la sanità nazionale. Una situazione che la pandemia ha portato all'esasperazione ma che nessuno è stato in grado di fermare nonostante le previsioni fossero chiare e il tracciato prospettico parlasse già da anni di quello che sarebbe successo oggi. Oggi che i medici nel pubblico si contano in numero sempre decrescente, che i e le giovani decidono sempre di meno di dedicarsi alle professioni sanitarie e quando lo fanno prendono spesso e volentieri la via del privato perché più sicura. E come in una rappresentazione grafica, quel che succede al vertice è solo l'espressione del logoramento della base.

Il pronto soccorso di Udine

Partiamo dal presupposto che parlare male della nostra sanità è difficoltoso e quasi sempre ingiusto, quando per "nostra" si intende quella friulana. Una sanità fatta di persone, di uomini e di donne che hanno dedicato la loro vita e la loro professionalità al bene degli altri e delle altre, nonostante tutto. Gli ospedali regionali, ma anche i presidi minori, sono sempre stati decantati a ragione come luoghi di umanità e competenza. Questo non dobbiamo dimenticarcelo. E continua ad essere così, appunto, nonostante tutto. Però le circostanze cambiano e i singoli, a volte, possono fare ben poco. Ecco quindi che, a fronte di richieste di aiuto continue, in una sorta di "al lupo al lupo" a cui nessuno fino ad ora ha voluto credere, il vaso è traboccato. Da giorni, precisamente da domenica 18 dicembre, il pronto soccorso di Udine lavora "in condizioni di gravissimo sovraffollamento, con la presenza costante nei locali di un numero elevato di pazienti in attesa di ricovero sia in Ps pulito che in Ps Covid". Queste non sono parole nostre, ma di chi in pronto soccorso ci lavora e le ha rivolte alla direzione sanitaria dell'azienda ospedaliera. "Lunedì 19 alle 10 di mattino erano in carico al Ps 95 pazienti, di cui 35 in attesa di ricovero, mentre nel corso della giornata il Ps ha poi lavorato con presenze superiori ai 100 pazienti; nel pomeriggio di ieri (martedì 20 dicembre, ndr) è stato necessario rimuovere dalla barella un paziente anziano in attesa di visita per poter accogliere un paziente con infarto; questa mattina alle ore 9.00 sono in carico al Ps 65 pazienti, tra cui 43 osservazioni, alcune delle quali in Ps da 5 giorni in attesa di ricovero".

Senza aver bisogno di masticare la terminologia sanitaria, la traduzione di quanto sopra ci suggerisce una situazione emergenziale, con pazienti non gravi in attesa quasi perenne, pazienti in attesa di ricovero "parcheggiati" in corridoio senza sapere se e quando possano essere presi in carico e pazienti gravi che scalzano in corridoio quelli meno gravi, in una spietata gara di sopravvivenza. Sopravvivenza che vale anche per medici e personale infermieristico

Una testimonianza

"Il pronto soccorso è il collettore finale di tutte le persone che si trovano scoperte dai servizi sanitari e che, a volte, presentano le conseguenze delle patologie che, non trattate, progrediscono". Così comincia la testimonianza di qualcuno che in pronto soccorso a Udine ci lavora. "Siamo sommersi da un innalzamento delle acque, che è ben diverso da uno tsunami, che saremmo ben in grado di gestire visto che è il nostro lavoro: questa piena non trova sfogo essendo i reparti saturi e il personale carente", ci viene raccontato. E questo problema ha radici profonde: no, non è "per il covid" e no, non è per la "riforma della Serracchiani", ma si tratta di un "problema irrisolvibile a breve termine poiché derivante da scelte di decenni fa sugli ingressi di medicina all’università, ad esempio". Anche se sospettiamo che ci sia un concorso di colpa ben più profondo. Questo cosa significa? Che "l'ospedale è saturo incluse le terapie intensive, il pronto soccorso è prossimo alla paralisi, con pazienti stoccati in ogni angolo su barelle per giorni in attesa di ricovero, pazienti con ossigenoterapia o bisogno di essere monitorati elettrocardiogramma continuo in stanze senza personale che li possa sorvegliare". Questa situazione è paragonabile a quella della seconda ondata covid, quella delle ambulanze in coda fuori dall'ospedale, "con la differenza che non è frutto di un’emergenza sanitaria bensì la progressione prevedibile e prevista di un lungo corso di scelte remote e recenti". 

L'organizzazione ospedaliera dei soccorsi nel caso di una maxi emergenza è demandata al "Piano di emergenza interno per massiccio afflusso di feriti", il cosiddetto Peimaf, la cui parziale attivazione, "con la collocazione dei pazienti presso il Pronto soccorso invece che presso il day hospital medico come sarebbe previsto, non permette in realtà di far fronte all’emergenza e di garantire l’operatività del Ps". Le parole derivano sempre da una fonte interna all'ospedale, in un appello datato martedì 20 dicembre 2022 rivolto alla stessa dirigenza aziendale. 

Le variabili

Nella comunicazione inviata internamente alla direzione dell'ospedale nelle persone di Luca Lattuada, Denis Caporale, David Turello e al direttore di anestesia-rianimazione Flavio Bassi, si fa poi riferimento ad alcuni punti che, visti dallo stesso Pronto soccorso, rappresentano i punti critici su cui è necessario intervenire.

  • l’attuale elevato afflusso di pazienti anziani con quadri di infezione respiratoria che necessitano di ossigeno, che è prevedibile persista nelle prossime settimane
  • l’epidemia influenzale, con necessità di isolamento dei pazienti ricoverati positivi
  • la contemporanea presenza di numerosi pazienti anziani fragili con tampone per covid 19 positivo, con necessità di ricovero e che permangono nel ps covid per giorni in attesa del posto letto in reparto
  • le difficoltà dei reparti di medicina a dimettere e ad accogliere pazienti oltre quanto già stanno facendo, come da loro dichiarato nell’incontro di ieri 19/12.
  • la concomitanza delle prossime festività, che vedranno ulteriormente ridotto il ritmo delle dimissioni ed aumentato il flusso di pazienti verso il Pronto Soccorso
  • l’obbligo per il Pronto soccorso di garantire l’accoglimento e la cura dei pazienti con patologie gravi e potenzialmente pericolose per la vita, patologie con presentazione a volte subdola e che devono poter essere valutate in tempi adeguati
  • il personale medico infermieristico ed Oss del Pronto soccorso, già provato dagli anni di pandemia covid, che si trova davanti all’attuale situazione in stato di elevatissimo stress fisico e psicologico e ad elevato rischio di burn-out, con prevedibili conseguenze in termini di malattie o richieste di dimissioni / trasferimento

"Ce la fate a tenere duro?"

La frase pare sia attribuibile al direttore medico del presidio ospedaliero di Udine Asufc Luca Lattuada, passato in pronto soccorso nella notte tra lunedì e martedì 20 dicembre dopo continue e pressanti richieste di aiuto. La risposta del personale del pronto soccorso potrebbe riassumersi in un serafico: "A tenere dure siamo bravi da anni, ma la situazione può andare in blocco totale in qualsiasi momento". Dalle 3 di notte di martedì 20 dicembre, quando Lattuada si è palesato in pronto soccorso evidenziando così l'emergenza della situazione, l'unità di crisi si è riunita, alla presenza anche dello stesso direttore sanitario, mettendo nero su bianco alcuni punti. 

Sostanzialmente è stato deciso che pazienti internistici già ricoverati presso il day hospital medico del piano terra del padiglione 8 verranno trasferiti per permettere "l'accoglimento di pazienti "puliti" da pronto soccorso presso le diverse medicine". L'attività del day hospital medico verrà quindi "temporaneamente ridotta/sospesa fino alla prossima settimana (orientativamente fino al 27 dicembre compreso)". La guardia notturna, inoltre, sarà garantita dal medico internista presente in guardia nello stesso padiglione e dal reperibile, quando necessario.

La replica

Per capire come mai si è arrivati a questa situazione, con l'attuazione del Peimaf, abbiamo interpellato lo stesso direttore medico Luca Lattuada. "Quando si va in ferie in alta stagione e si rimane in coda al casello autostradale, non si dà certo la colpa al casellante". Questa la risposta alla nostra domanda di identificare le criticità principali. Incalzato, Lattuada ci dice che in questo momento si è verificata "una concomitanza di eventi", con "pazienti anziani con sintomi influenzali che potrebbero trovare utile assistenza fuori dall'ospedale, ma non ci riescono". Anche perché, aggiunge, "i servizi territoriali  non riescono a far fronte alla richiesta e il pronto soccorso diventa l'ultima ratio, come ha dimostrato il picco di ieri notte". E, per concludere, risponde alle critiche di chi, internamente all'ospedale, gli ha direttamente detto che qualcosa doveva essere fatto prima. "Tutti dicono che bisognava muoversi prima, ma per aprire un reparto bisogna chiuderne altro, e questo significa anche aspettare il momento più adatto, perché comporta spostamento e rinvio di interventi e quant'altro. Capirete che non è una cosa che si può fare in leggerezza". 

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