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Ipotesi Serracchiani per la segreteria Pd: sarebbe la prima leader donna

L'ex vice segretaria in lizza per il posto che fu di Renzi. Il punto di vista dell'ex governatrice: "Le riforme dovevano essere una missione collettiva e sono diventate una questione personale. Il 4 dicembre è alla radice del 4 marzo. Ci aspetta un lungo e doloroso viaggio, alla ricerca di un'identità perduta".

Serracchiani al posto del reggente Martina. “La tentazione” in casa dem è stata raccontata oggi da Maria Teresa Meli  sulle pagine del Corriere della sera. L'ex presidente del Friuli Venezia Giulia potrebbe rappresentare il jolly, la carta adatta, per far convergere i renziani nudi e puri (quelli che negano un qualsiasi dialogo con il M5s al grido di "#senzadinoi - #senzadime") e l'ala più a sinistra del partito che non lo escluderebbe a priori per il bene del Paese . A contendere a Serracchiani la segreteria del secondo partito più grande d'Italia oltre a Martina ci sarebbero Matteo Richetti e il governatore del Piemonte, Sergio Chiamparino.

L'ipotesi

"L’Assemblea nazionale che avrebbe dovuto tenersi ad aprile con tutta probabilità slitterà a giugno, dopo le elezioni regionali e comunali. Sono soprattutto i renziani a chiedere tempo. Non vogliono il reggente Maurizio Martina come segretario a tutti gli effetti, eletto appunto dall’Assemblea nazionale. Non si fidano di lui e temono che alla fine favorisca la linea del dialogo con i grillini e con “Liberi e Uguali” (…). Nell’area che fa riferimento a Renzi sta infatti prendendo piedi un’altra ipotesi. Quella di lanciare la candidatura di una donna. Due i motivi dietro questa operazione. Primo, dare un effettivo segnale di novità all’esterno per migliorare l’immagine appannata del Partito democratico. Ma non solo. Questa soluzione (ecco il secondo motivo) servirebbe anche a spiazzare gli avversari interni: difficile opporsi all’ipotesi che il Pd abbia per la prima volta una leader donna. Il nome su cui si sta lavorando è quello di Debora Serracchiani, ex vice segretaria del Pd, presidente dimissionaria della regione Friuli Venezia Giulia, neo eletta alla Camera dei deputati. La decisione definitiva non è stata ancora presa. Anche perché ci sono altri che stanno scaldando i motori (...). Ma la carta Serracchiani potrebbe essere veramente quella che spariglia il gioco".

Il punto di vista di Debora

Dopo un periodo più o meno lungo di silenzio, ieri l'ex governatrice ha reso pubblica una sua lunga riflessione politica sul particolare momento che sta attraversando il suo Pd. Questa la sintesi del suo intervento. 

"Adesso è in gioco il nostro futuro, oltre che la nostra storia. Noi dobbiamo perciò trovare le nuove ragioni da porre alla base del nostro agire politico. Prendiamo atto che il richiamo a parole d'ordine di grande spessore storico e ideale, come riformismo, sinistra, socialismo, non sono più sufficienti. Non basta che ci definiamo "di sinistra" o "popolari" per essere riconosciuti tali. È un dato di fatto che milioni di elettori, che già ci avevano votato, si sono sentiti meglio garantiti da altri. E siccome le persone sono sempre quelle, siamo noi che evidentemente siamo stati percepiti come diversi. Si pongono allora due problemi.

Il primo è non tradire la fiducia di coloro i quali, votandoci, hanno ritenuto comunque di affidarci un mandato. Penso che nessuno ci abbia votato con l'idea di mandarci a fare l'opposizione, ma perché attuassimo nelle istituzioni repubblicane il programma con cui ci siamo candidati. Posto però che adesso il PD è oggettivamente un partito di opposizione rispetto alle forze che hanno ottenuto la grande maggioranza dei voti, bisogna chiarire a noi e agli italiani cosa vogliamo fare adesso, giorno dopo giorno e in prospettiva. Il "no" ad accordi con M5S o con la destra non è pregiudiziale, è la logica conseguenza di una visione diversa del Paese. Quindi nessun Aventino, ma partecipazione diretta al dibattito politico per affermare, dall'opposizione, un'alternativa possibile.

Il secondo problema, speculare al primo, riguarda esattamente questo: quale alternativa e come? E ci riconduce all'interrogativo sul senso e sull'identità del Pd. Un'onesta valutazione credo ci conduca a dire che, progressivamente, come classe dirigente, ci siamo slegati dal corpo vivo, sofferente e impaurito del Paese. E inevitabilmente abbiamo via via capito e parlato sempre meno la lingua in cui si esprimeva quello che è stato a lungo il nostro popolo. Perché non si può essere "partito di raccolta generale" se si perde l'orientamento rispetto a una base sociale, soprattutto se quella base è la radice storica ed esistenziale del partito. Com'è accaduto che alcuni centri urbani ci hanno votato più di molte aree industriali o delle periferie? Siamo stati là? Abbiamo ascoltato? Abbiamo dato risposte e speranza? Rivendichiamo giustamente che la nostra è stata la legislatura dei diritti, abbiamo fatto fare un gigantesco passo avanti al nostro Paese. Abbiamo introdotto misure di sostegno per i più deboli. Ma basta questo oppure abbiamo dato la sensazione di non essere presenti sul fronte avanzato del bisogno e dell'insicurezza? E non è probabile che, incalzati dalla oggettiva urgenza di far ripartire il Paese, abbiamo assunto un atteggiamento di supponenza? Le riforme dovevano essere una missione collettiva e sono diventate una questione personale. Il 4 dicembre è alla radice del 4 marzo. Lo dico prima di tutto a me stessa. Perciò dalle nostre radici dobbiamo ricominciare a fare politica e opposizione, a gettare le basi per un nuovo inizio. E questo nuovo inizio non si costruisce pensando che il mondo giri intorno alla Camera o al Senato, non ha nulla da spartire nemmeno con l'abbuffata di cariche istituzionali che si fa la maggioranza, su cui i cittadini certo non si emozionano. Non si riparte disputando su questo o quel rituale interno del partito, né alimentando i soliti conflitti sterili. Il PD torna a nascere andando di nuovo a mescolarsi con la gente, magari prendendosi gli insulti davanti ai supermercati. Per chi vorrà farlo, ci aspetta un lungo e doloroso viaggio, alla ricerca di un'identità perduta, di una ragione ideale e di uno spazio politico."

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