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Andare ai concerti fa bene: Niccolò Fabi ce lo ha ricordato con poderosa delicatezza

Ieri sera, martedì 7 gennaio, si è svolto il concerto di Niccolò Fabi al Giovanni da Udine: tanti applausi, moltissima emozione e tanta empatia tra pubblico e artista

Magari le canzoni le conosci tutte è il concerto è l’occasione per gustarti quelle sfumature che solo una voce ascoltata dal vivo riesce a trasmettere. O magari di canzoni ne conosci poche e allora il live diventa il mezzo più potente per creare un ponte tra te e l’artista. Un ponte fatto di empatia ed emozione. Più o meno questo è successo durante il concerto di Niccolò Fabi al Giovanni da Udine, organizzato da Azalea ieri, martedì 7 gennaio: chi lo conosceva per filo e per segno se n’è uscito da teatro con gli occhi pieni, chi voleva capire meglio ha probabilmente avuto una conferma solida e nuova delle doti musicali e umane di Fabi.

Perché lui se ne sta lì, jeans e maglietta nera, di fronte a te con la sua chitarra come se foste dei vecchi compagni di scuola che si son detti confidenze che il tempo ha solo assopito, ma che non si vedono da anni. Non è uno showman, un rocker. Non è uno che alza la voce, non graffia, non si scatena. Ma tutto in lui e intorno a lui ha la potenza delle parole profonde sussurrate sottovoce. La ponderazione del suo stare sul palco, dove tutto pare avere il suo posto naturale, è così rassicurante da essere quasi sconvolgente. Non c’è un vero centro su questo palco, dice al pubblico il musicista romano mentre sotto le sue dita si alternano i tasti del piano e le corde della chitarra. Ed è forse questa frase a racchiudere la sua musica.

Non c’è un centro che prevale, è un insieme di componenti che si incastrano in una totalità morbida ed efficacissima. Perché Fabi ha la capacità di usare le parole giuste per descrivere quelle cose che tu normalmente non sai nemmeno da che parte prendere. E allora lo ascolti finendo per pensare “è capitato anche a me ma non sapevo come dirlo”. Senti arrivare le sue frasi pronunciate con poderosa quiete ed è in quel momento che la musica ti abbraccia. Sul palco con lui cinque musicisti eccezionali intessono arrangiamenti che danno nuova vita alle ventidue canzoni in scaletta, che copre soprattutto gli ultimi due album.

Sul palco insieme a Niccolò ci sono Roberto Angelini (chitarre, ARP e cori), Pier Cortese (chitarre, iPad e cori), Alberto Bianco (basso, chitarre e cori), Daniele “Mr. coffee” Rossi (Synth, piano e Moog) e Filippo Cornaglia (batteria, elettronica e Glockenspiel). Tra di loro degli schermi che non confondono la scena ma fanno da complemento alle canzoni, restituendo immagini al limite dell’onirico, aiutate da un perfetto e mai invadente gioco di luci.

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Gli applausi sono spontanei e nonostante quelle di Fabi non siano canzoni fatte per muovere il corpo quanto piuttosto l’anima, il pubblico udinese si lascia coinvolgere spesso in cori imprevisti. Forse in sala c’erano persone molto attente e predisposte, viene da pensare. Perché non si è lasciato sfuggire nemmeno una parola e nemmeno l’occasione di alzarsi dalle poltroncine per andare a ballare l’ultimo brano, la sempre coinvolgente “Lasciarsi un giorno a Roma”, sotto il palco. Saltando e battendo le mani. Nonostante un testo carico di qualcosa che non fa certo rima con allegria, che descrive una separazione dolorosa e quasi feroce eppure che ancora, a distanza di ventidue anni, trova riscontro nelle vite degli altri. Ecco. Forse questa è la forza di uno come Niccolò Fabi, che arriva davanti a te con i suoi jeans e la sua maglietta, la sua faccia docile, la sua musica che sembra aver conosciuto gente come i Sigur Rós e Bon Iver, ma che ha i piedi nel cuore dell’Italia. La sua forza è parlarti di te mentre sta parlando di te. Farti sentire come un vecchio compagno di classe che ritrova il suo amico perso di vista da tempo ma che ancora sa chi sei.

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