A Udine la mostra “Il Rumore dei Passi”: dieci installazioni che raccontano le migrazioni attraverso emozioni e sensorialità
Un titolo metaforico, una mostra dalle emozioni reali: “Il Rumore dei Passi”, esposizione a ingresso gratuito che sarà allestita nel Velario del Palazzo Garzolini di Toppo Wasserman fino al 16 maggio 2023 (aperta tutti i giorni con orario 9.30 - 20), è un percorso di conoscenza e riflessione che parla di migrazioni da molteplici prospettive. La mostra, composta da dieci installazioni, racconta le migrazioni attraverso un percorso quasi tutto sensoriale. Ai visitatori vengono trasmesse tutte le motivazioni che portano allo sviluppo di un processo migrante permettendo un’analisi più profonda e integrante del fenomeno grazie a un coinvolgimento in prima persona. Attraverso giochi di specchi e immagini tridimensionali chi osserva riesce a sentirsi parte integrante delle installazioni. Molte sono le riflessioni a cui si è accompagnati durante le dieci tappe del percorso. Perché si decide di migrare? Quali sono le cause che portano a queste difficili scelte? Guerre, interessi politici ed economici, emergenze climatiche e molti altri aspetti stimolano le emozioni e i pensieri dei visitatori rendendoli protagonisti per qualche minuto di un fenomeno che ha segnalo molte storie. Un suono, quello del rumore dei passi, che si amplifica come un grido di aiuto nella mente di chi sa ascoltare.
Le installazioni
La prima installazione vuole smentire che in Africa siano tutti migranti. Nonostante le grandi difficoltà strutturali che il paese presenta, non può essere considerato un continente in fuga vista la forte popolazione che vive sul territorio.
La seconda “fermata” accoglie il visitatore in una lettura partecipativa, attraverso una serie di scritte su plance bifacciali specchiate, che raccontano le migrazioni nella loro complessità con lo scopo di far percepire a tutti che il Mondo in cui si vive è la casa di ogni essere umano e tutti i problemi si dovrebbero risolvere assieme.
La terza opera rappresenta le principali cause del migrare. Il focus viene posto sul conoscere, ovvero sul domandarsi perché intere comunità siano spinte al trasferimento lasciando i loro territori d’origine. Si raccontano i problemi endogeni come la siccità la mancanza di cibo ma vengono evidenziati anche i problemi che ci sono a monte. Come il colonialismo, lo sfruttamento delle risorse, i poteri corrotti e le guerre. Tutto troppo spesso legato a interessi economici stranieri.
Giungendo alla quarta installazione si entra nel territorio africano e nelle sue ricchezze. Un paese così tanto ricco ma al tempo stesso molto povero. Una serie di casse accostate una all’altra rappresentano le ricche e agognate materie prime di cui l’Africa dispone. Sulla superficie di queste scatole sono stampati i nomi delle tante materie che escono dai paesi produttori a beneficio delle grandi multinazionali del settore; materie che appartengono all’“economia di rapina” e che impediscono la crescita dei territori che le possiedono.
La quinta tappa segna l’inizio del “viaggio emotivo”, un percorso di allontanamento dai luoghi d’origini per la pura sopravvivenza che viene ben rappresentato da un tappeto raffigurante uomini e donne in fuga sopra il quale il visitatore cammina. In questo modo è possibile percepire il disagio e la sofferenza di chi scappa via mare o via terra attraverso la sensazione di calpestare i loro corpi migratori.
“La meta” è il titolo della sesta installazione. Oltre cento scatole di metallo grezzo, simulacri di urne, ognuna delle quali ha posto sopra l’immagine del viso di un migrante. Molte di queste foto sono barrate con una croce rossa, simbolo eloquente della morte: costruzione scenica della tragedia nella sua interezza. Dopo le installazioni sulle cause e gli effetti e dopo quelle emozionali la mostra entra infine nella cultura della contemporaneità.
La settima tappa è una parete in cui si mescolano emergenze e speranze: un collage che vuole esprimere che il fenomeno migratorio e le pandemie possono essere affrontate attraverso il confronto e la co-responsabilità, con lo scopo di costruire un nuovo mondo che garantisca a tutti i diritti civili fondamentali.
La penultima installazione riconduce il percorso fatto a una riflessione finale suggerita da un artista cinese. Il suo pensiero è scritto su un paravento delle sei facciate vetrose sulle cui superfici i visitatori si riflettono:
“I confini non esistono nella vita, non esistono nell’arte e non esistono neppure nella geografia nella realtà. esistono solo nelle nostre menti”.
E si arriva all’ultima sezione, un ufficio speciale, quello del passaporto del mondo. Il “Check-in Passport” segna il passaggio d’uscita della mostra, attraverso il quale si può andare via portando con sé due libretti speciali: il passaporto del mondo, metafora della possibilità di una convivenza comune e un volume sul quale ricercare tutte le pubblicazioni realizzate sulle migrazioni. Il “Rumore dei passi” vuole salutare il visitatore con un concetto metaforico: se il mondo è uno, tanto vale fare un documento unico che attesti dell’appartenenza al genere umano, il passaporto del mondo. Ai visitatori che lo richiedono verrà consegnato il documento, un passaporto vero, con uno spazio per la fotografia del soggetto richiedente.
La mostra è realizzata nell’ambito del progetto “Il Rumore dei Passi” realizzato dal CIPSI e con il contributo della Chiesa Valdese in collaborazione con Time For Africa e Chiama l’Africa.