Osterie d'Italia 2016: nella guida 90 friulane, 10 con la "chiocciola"
Sono 90 le osterie del Fvg recensite e presenti nella Guida Osterie d’Italia 2016 di Slow Food, da trent’anni fondamentale riferimento per costruirsi una mappa ricchissima e assolutamente originale dei locali più genuini e rappresentativi delle regioni italiane. E delle 90 in Guida, sono 10 quelle insignite della chiocciola Slow Food, ossia quelle che incarnano al meglio i valori di cui il movimento è portatore, a partire proprio da “buono, pulito e giusto” che ne costituiscono il motto, con ilgiusto equilibrio fra cucina di qualità e tradizione, prezzo onesto e accoglienza speciale. Il Friuli Venezia Giulia si trova così al 9° posto tra le regioni più chiocciole. Sul podio sono salite il Piemonte (con 28 chiocciole), la Toscana con 27 e la Campania con 22. Il vicino Veneto è 4° con 21 chiocciole.
La Guida Osterie d’Italia 2016 sarà presentata in regione venerdì 16 ottobre, alle 17, a Villa Manin, nell’aula riunioni sopra la Sala delle carrozze. Alla presentazione saranno presenti il presidente regionale di Slow Food Max Plett, il responsabile nazionale della guida Eugenio Signoroni e il coordinatore regionale Giorgio Dri. A fare gli onori di casa, è previsto l’assessore regionale alle risorse agricole e forestali, Cristiano Shaurli. Con loro, si riuniranno anche i titolari dei locali presenti nella guida Osterie d’Italia 2016 e i responsabili di attività Slow Food Fvg.
A conquistarsi le 10 chiocciole del Fvg sono stati: Ai Cacciatori di Cavasso Nuovo (Pordenone), Borgo Poscolle di Cavazzo Carnico (Udine); Borgo Colmello di Farra d’Isonzo (Gorizia); Ai Ciodi di Grado (Go); Ivana & Secondo di Pinzano al Tagliamento (Pn); Devetak di Savogna d’Isonzo (Go); Da Afro di Spilimbergo (Pn), Sale e Pepe di Stregna (Ud), Da Alvise di Sutrio (Ud) e Stella d’Oro di Verzegnis (Ud).
Accanto al momento culturale è prevista una pausa conviviale sotto la barchessa d’ingresso a Villa Manin, con la degustazione di polente di farine di mais antichi (fra queste, il Baus di Ovaro e il Ros di Aquileia) cotte al momento da polentârs di Verzegnis. Le polente saranno preparate con l’acqua naturale Dolomia (messa a disposizione dall’azienda stessa), che sgorga nel parco naturale delle Dolomiti friulane ed è stata valutata per la seconda volta prodotto d’eccellenza dall’International Taste & Quality Institute di Bruxelles. Al profumo delle polente saranno abbinate le degustazioni di formaggio Montasio (prodotto da latterie che lavorano il latte crudo di Pezzata rossa) e di latterie turnarie (presidio Slow Food) e di prosciutto di San Danieletagliato al coltello. Naturalmente non mancherà un buon bicchiere di vino, selezionato per la guida dei vini (Slow Wine). Nella barchessa sarà anche esposta una selezione di presidii regionali di Slow Food.
Nella Guida di Sow Food Italia – disponibile anche in App da tenere sempre a portata di… “dito” sul proprio smartphone – sono segnalate quest’anno 1.707 osterie (erano 800 nella primissima edizione, 26 anni fa), con 250 chiocciole assegnate. Sono 190 le osterie da visitare, secondo la Guida, per la notevole selezione di formaggi, e 372 quelle per la carta dei vini attenta al territorio. La Guida racconta inoltre di 346 indirizzi dove acquistare prodotti di qualità, gustare un buon gelato o fermarsi per un piacevole aperitivo, 513 locali con un orto di proprietà, 458 osterie che propongono anche un menù vegetariano e 282 osterie con alloggio.
La guida, scrivono i curatori Marco Bolasco ed Eugenio Signoroni nella nuova edizione, «ogni anno ridefinisce un pezzetto di ciò che nel nostro Paese è il “mangiarbere”, proponendovi il più completo e autorevole catalogo della cucina di tradizione e di territorio. Le osterie, per come le abbiamo intese nel tempo, si sono evolute, sono cambiate, sono diventate progressivamente un qualcosa di distante dalla definizione della parola che trovate ancora sul dizionario. Per questo scrivere la guida è impresa sempre più ardua, ma la difficoltà non fa che accrescere l’entusiasmo di chi la realizza. Non si tratta più, infatti, solo di andare a scovare i luoghi più autentici, spesso nascosti e protetti da piccoli paesi di campagna o da qualche stretto vicolo di città. Si tratta piuttosto – nella maggior parte dei casi – di districarsi nella miriade di locali che si autodefiniscono osteria o che a quel modello aspirano. Il compito è quindi cogliere in quali casi i tratti che Slow Food ha attribuito all’osteria siano effettivamente presenti e in quali, invece, siano solo una carta da parati che nasconde crepe e cartongesso».