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Cinema

Il film in sala della settimana: "Romanzo di una strage", di Marco Tullio Giordana

Prosegue l'attesa rubrica di Luigi Virgolin del Comune di Bologna, friulano di Sottoselva. Ogni settimana ci presenta una pellicola da vedere: per capire, per criticare, perché è il cinema

Sul “Corriere della sera” del 14 novembre 1974 Pier Paolo Pasolini attaccava il pezzo “Che cos'è questo golpe?” col celebre “Io so”, articolo poi raccolto negli Scritti corsari (1975) col titolo “Il romanzo delle stragi”. E giù una raffica di j’accuse, inappellabili come versetti biblici: “Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969”. Anche se, in fondo, doveva ammettere: “Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi”. Ciò tuttavia non gli impediva di fiutare, con infallibile istinto da rabdomante, il clima stragista che mirava a sospendere la Costituzione e le trame nere eversive di quella parte dello Stato che, al posto di tutelare la Repubblica, complottava invece per abbatterla e piegarla in senso autoritario. L’ultimo film di Marco Tullio Giordana mutua il titolo da Pasolini (dalla lettera però, non dallo spirito). Con in più la differenza che sono passati oltre 40 anni da quel primo devastante attacco al cuore del Paese, 11 processi di condanna, 4 giudizi in Cassazione. Per il resto, si rifà ampiamente al discusso libro di Paolo Cucchiarelli, Il segreto di Piazza Fontana. Non è abbastanza, anzi.

Perché la verità politica è chiara. Sono ben documentati le complicità e i depistaggi dei servizi di sicurezza e soprattutto dell’Ufficio Affari Riservati, con le responsabilità della destra neofascista. La ricostruzione filmica è costellata di buchi e omissioni. Non si sa nulla del capro espiatorio Pietro Valpreda, ad esempio. Si puntano i riflettori sui personaggi in primo piano, mentre il contesto svanisce in uno sfondo indifferenziato. Rimane fuori campo la città, Milano, e la società italiana. Data l’impostazione scelta dal regista e dai suoi sceneggiatori, c’è fin troppa carne al fuoco: per affrontare una materia così debordante e magmatica, dalle mille sotto-trame, sarebbe stato forse più congeniale azzardare un’opera dal respiro smisurato ma almeno coraggioso, come ha fatto Olivier Assayas quando ha confezionato attorno al terrorista Carlos un film per la televisione della durata di quasi 6 ore. Il risultato così invece è asettico, buono tutt’al più per uno sceneggiato televisivo.

Dispiace dirlo, ma nonostante le migliori intenzioni – è pur vero che l’autore opera nel solco del film civile, suoi tra gli altri I cento passi (2000) e La meglio gioventù (2003) – film come Romanzo di una strage sono non soltanto inutili, pure dannosi. Inutili, perché non c’è un fotogramma che trasudi autenticità, dal punto di vista cinematografico. Nocivi perché, terminata la visione, nella testa di un ragazzo che non conosce più a fondo quelle vicende rimarrà addosso la pericolosa ed ambigua sensazione che le parti sulla scacchiera fossero confuse e confondibili, e che le responsabilità di quei tragici eventi siano da distribuire un po’ a tutti, in maniera generalizzata.

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