Il film in sala della settimana: Cesare deve morire, dei fratelli Taviani
Prosegue l'attesa rubrica di Luigi Virgolin del Comune di Bologna, friulano di Sottoselva. Ogni settimana ci presenta una pellicola da vedere: per capire, per criticare, perché è il cinema
Il tanto vituperato (spesso a ragione) cinema nostrano ha conosciuto di recente un sussulto di orgoglio grazie ai fratelli Taviani, un pezzo importante della nostra cinematografia. Il loro Cesare deve morire, finalmente approdato in sala, è tornato trionfatore dall’invernale Festival internazionale del cinema di Berlino con l’Orso d’oro, un riconoscimento quantomai agognato e meritato. Certo non scontato, perché nella sua coerenza e radicalità Cesare deve morire è un film a sé: la testimonianza della rappresentazione del Giulio Cesare di Shakespeare ad opera dei detenuti della sezione alta sicurezza del carcere romano di Rebibbia. Un’opera formalmente molto accurata, che persegue in piena consapevolezza l’effetto di realtà: sul piano visivo si avvale di un impasto tra il bianco e nero espressionista (più convincente) delle prove e il colore dello spettacolo finale; mentre a livello sonoro dispiega un impressionante lavoro sulla lingua, dato che il testo del bardo è restituito ai dialetti di origine degli attori, in un intreccio di romano, napoletano, siciliano e pugliese.