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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cinema

Il film in sala della settimana: "Dark Shadows", di Tim Burton

Puntata settimanale della rubrica di Luigi Virgolin del Comune di Bologna, friulano di Sottoselva. Ogni settimana ci presenta una pellicola da vedere: per capire, per criticare, perché è il cinema

Non è tempo di capolavori per Tim Burton, semmai di adattamenti più (Sweeney Todd) o meno (Alice in Wonderland) riusciti, di immersioni in giocattoli altrui da cui far risuonare quelle corde che meglio assecondano il suo genio visionario. Così è per Dark Shadows, sprofondamento di Burton nel mondo scuro dei vampiri: non quello strettamente classico – il Nosferatu di Murnau per intenderci – ma la serie TV di Dan Curtis degli anni Sessanta. XIII° secolo: Barnabas Collins, erede di un impero commerciale, si innamora della dolce Josette ma è oggetto della maledizione di Angelique Bouchard, la quale lo trasforma in vampiro, lo fa seppellire vivo per attenderlo duecento anni più tardi, nella modernità americana dei Seventies. Lo slittamento temporale di cui è vittima il protagonista, con tutte le divertenti derive semantiche e ambiguità che ne costellano il suo spaesamento, è il cuore autentico dell’inattualità del film. Si potrebbe anche pensare che l’essere fuori (dal) tempo sia metafora per l’amore assoluto e per la condizione che attanaglia tutti i freaks tanto cari al regista. Amare ciecamente significa vivere fuori dal proprio tempo, in un universo chiuso e autoreferenziale (“Tu non sai amare, Angelique, questa è la tua maledizione”).

Dalla stanza buia dell’infanzia Burton preleva gli ingredienti più saporiti del gotico, il castello in fiamme di un’immaginaria cittadina del Maine e il cuore in mano della strega cattiva di Biancaneve (l’universo di Burton assomiglia ad una Disneyland capovolta meravigliosamente paurosa). Li centrifuga in un mix pop esteticamente raffinato, ironico ed estremamente consapevole, con innumerevoli rimandi alla moda, alla grafica, al design, alla musica (Donovan, Curtis Mayfield, Alice Cooper), alla cultura degli anni Settanta. Johnny Depp nei panni del vampiro Barnabas, che nelle ore diurne va in giro agghindato come Michael Jackson, è la giusta incarnazione per rappresentare visivamente questo film: spassoso, raffinato e ludico, ma incapace di trasmettere fino in fondo, attraverso l’esibizione della propria mostruosità, l’angoscia della diversità umana.


 

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