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Giovedì, 25 Aprile 2024
Economia

Future Forum: la scuola digitale è il futuro della formazione

Per fare il grande passo non basta cambiare gli strumenti, ma va cambiata anche la mentalità e l'idea profonda di scuola. Se n'è parlato nell'incontro dedicato al mondo dell'apprendimento

La scuola digitale è il futuro della formazione, ma deve perdere la connotazione della sperimentazione continua e diventare sistema applicato e condiviso da tutti, aperto al di là delle costrizioni di spazio e tempo, in grado di partire dagli studenti, di prepararli al problem solving, in una struttura che deve formare talenti e non sprecarli come spesso accade ora. Su queste riflessioni si è innestata la discussione di Future Forum, nell’appuntamento, moderato da Armando Massarenti del Sole 24 Ore, che ha visto come protagonisti Mario Rotta, project manager di E-Form, “formatore di formatori”, e Agostino Quadrino, di Garamond Srl, azienda che si concentra sul tema dell'uso didattico delle tecnologie multimediali e dell’innovazione nei processi di insegnamento e apprendimento.

Ad anticiparli, il videointervento di Salvatore Giuliano, il prof di “Book in progress”, progetto in cui insegnanti di varie scuole d’Italia si confrontano in rete e producono contenuti per nuovi libri di testo, cartacei e digitali, con l’obiettivo di fornire una preparazione più moderna nei metodi ma anche più efficace nei contenuti, libri che possono essere sempre implementati di contenuti multimediali e che sono anche frutto di una collaborazione con gli studenti. Con il progetto, ha spiegato Giuliano, si cambia pure il paradigma dell’apprendimento, portando anche a una diversa impostazione della classe, in cui il docente diventa un facilitatore. Cambiano anche i tempi di apprendimento, nelle cosiddette “flipped classrooms”, in cui in sostanza la titolarità dell’apprendimento è spostata dagli insegnanti agli studenti, e gli insegnanti diventano guide di questo percorso che vede pienamente attivo lo studente.

«La scuola italiana ha problematiche più complesse e altri numeri – ha detto Rotta – il vero problema è stabilire che cosa vogliamo faccia, la scuola: non possiamo cambiare solo gli strumenti di volta in volta, errori che la scuola commette in continuazione, facendo progetti sperimentali su poche persone per poi dopo poco non sostenerli più, senza invece modificare nel profondo l’idea e la forma della scuola». Per Rotta va dunque abbandonata l’idea della sperimentalità continua per arrivare a un sistema vero e proprio. E «la scuola digitale – ha aggiunto – deve avere una visione diversa del mondo, procedere alla ricerca del significato. Ha senso quando smantella il modo attuale di fare scuola, imbrigliato all’interno di uno spazio-tempo definito, perché le tecnologie cambiano il modo e i tempi di progettare e vivere la conoscenza».

In questo punto si è inquadrato l’intervento di Agostino Quadrino, di Garamond, insegnante per 15 anni e anche autore di libri di testo prima della fondazione della società che ha oggi 67 mila utenti-insegnanti registrati, secondo solo a database del Ministero dell'istruzione, "plafond" che permette di tastare direttamente il polso della domanda di chi vive quotidianamente la realtà scolastica. «Quando io cominciai la scuola, la conoscenza era bene scarso – ha detto –: rispetto ad allora le cose sono cambiate in modo radiale. Oggi la conoscenza è bene abbondante e immediatamente accessibile, con un clic posso accedere a qualsiasi contenuto. Oggi è abbondante e facilmente raggiungibile e come Garamond noi siamo convinti che l’era dei libri di testo sia finita». Una realtà verso cui Quadrino evidenzia di non aver alcun pregiudizio «in quanto ne sono stato autore», ma che rappresenta una realtà superata. Inoltre, «è di 800 milioni di euro il valore che ogni anno i genitori spendono per comprare – e poi cambiare – i libri scolastici. Editoria che non vuole cedere la sua egemonia perché opera in regime di oligopolio». Ma per Quadrino, cambiare la scuola non è solo una questione di digitalizzare i testi, che è una «finta novità», bensì «passare dal concetto di cultura chiusa e proprietaria a quello di cultura aperta, bene comune e condiviso».

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