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Economia

Patto per salvare il formaggio italiano firmato da Renzi e due allevatrici friulane

Si tratta di Sara e Giulia Livoni,  26 e 20 anni, che hanno un'azienda agricola a Trivignano Udinese

Sono state due allevatrici friulane, con allevamento di razza Pezzata Rossa a Merlana, frazione di Trivignano Udinese, Sara e Giulia Livoni,  26 e 20 anni, a firmare con il presidente del consiglio Matteo Renzi il patto salva formaggio italiano. Un patto che impegna il presidente del Consiglio a contrastare il diktat europeo che vorrebbe il via libera all’utilizzo delle polveri di latte anche in Italia. La firma è stata posta oggi a conclusione della Giornata dell’agricoltura italiana ad Expo, con la partecipazione di decine di migliaia di agricoltori provenienti da tutte le regioni guidati dal presidente nazionale Roberto Moncalvo, con una delegazione di 1600 persone del Fvg guidata dal presidente Dario Ermacora. 

Renzi ha simbolicamente adottato le specialità casearie tricolori (fra queste una forma di formaggio fatto con latte crudo di sola Pezzata Rossa), portate sul palco dalle due giovani allevatrici friulane. Un gesto importante e significativo – sottolinea il presidente Dario Ermacora – soprattutto in vista della scadenza del 29 settembre prossimo, termine entro il quale l’Italia dovrà rispondere alla lettera di diffida con la quale la Commissione europea ha imposto all’Italia di porre fine al divieto di detenzione e utilizzo di latte in polvere, latte concentrato e latte ricostituito per la fabbricazione di prodotti lattiero caseari previsto storicamente dalla legge nazionale.

Alla firma del patto “salva formaggio italiano” ha assistito il presidente nazionale della Coldiretti Roberto Moncalvo. Dopo aver fatto il loro ingresso da giovanissime nell’azienda di famiglia, le due sorelle hanno garantito il consolidamento aziendale con la creazione di filiere agroalimentari 100% friulane. Il via libera alla polvere di latte rischia purtroppo di far sparire 487 formaggi tradizionali censiti dalle Regioni italiane ottenuti secondo metodi mantenuti inalterati nel tempo da generazioni. Secondo la Coldiretti si tratta di un inganno per i consumatori che mette a rischio un patrimonio gastronomico custodito da generazioni, con effetti sul piano economico, occupazionale ed ambientale. Con un chilo di polvere di latte, che costa sul mercato internazionale 2 euro - sottolinea la Coldiretti - è possibile produrre 10 litri di latte, 15 mozzarelle o 64 vasetti confezioni di yogurt e tutto con lo stesso identico sapore perché viene a mancare quella distintività che viene solo dal latte fresco dei diversi territori.

E’ in corso - sottolinea la Coldiretti - un pericoloso braccio di ferro che potrebbe portare alla chiusura delle stalle, alla perdita di posti di lavoro, all’omologazione e all’appiattimento qualitativo della produzione nazionale dopo la lettera di diffida inviata all’Italia dalla Commissione Europea. Si vuole porre fine - precisa la Coldiretti - al divieto di detenzione e utilizzo di latte in polvere per la fabbricazione di prodotti lattiero caseari, previsto dalla legge nazionale n. 138 dell’11 aprile del 1974, che ha garantito per oltre 40 anni l’alta qualità della produzione casearia nazionale. Il superamento di questa norma - continua la Coldiretti - provocherebbe l’abbassamento della qualità, l’omologazione dei sapori, un maggior rischio di frodi e la perdita di quella distintività che solo il latte fresco con le sue proprietà organolettiche e nutrizionali assicura ai formaggi, yogurt e latticini Made in Italy. La polvere di latte - spiega la Coldiretti - è un prodotto “morto”, privo di proprietà organolettiche, che può arrivare da qualsiasi parte del mondo dove i maggiori produttori sono Nuova Zelanda e Stati Uniti mentre in Europa i leader sono Francia e Germania. La disidratazione consente di concentrare i costituenti del latte rendendoli conservabili a temperatura ambiente per oltre un anno e la tecnologia di produzione prevede che il latte, dopo essere stato corretto del suo contenuto di grassi, venga trattato termicamente con una perdita di valore biologico delle proteine del latte che può essere anche rilevante. 

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