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Economia Centro / Via Elio Morpurgo

Nord est terra di confine, quale futuro per la nostra area?

Se ne è discusso alla Sala Valduga della Camera di Commercio cittadina, alla presenza di ospiti illustri, come Omar Monestier, Cristiana Compagno, Gianpiero Bendetti, Daniele Marini, Giovanni Fantoni

Il Nordest può salvarsi se la sua classe dirigente saprà interpretare il cambiamento.  Si è sviluppata una riflessione a tuttotondo sulla situazione e le prospettive dell’economia locale a corollario della presentazione del libro del direttore scientifico della Fondazione Nordest Daniele Marini. La pubblicazione, “Innovatori di confine. Il percorso del nuovo Nord Est”, edita da Marsilio, analizzata da diversi punti di vista la trasformazione che il sistema sta vivendo.

Nuovi punti di vista moderati dal direttore del Messaggero Veneto Omar Monestier e con l’introduzione del presidente Cciaa Giovanni Da Pozzo, sono emersi grazie agli interventi del Ceo di Danieli Gianpiero Benedetti, del magnifico rettore Cristiana Compagno, dell’ad di Fantoni Giovanni Fantoni.

«Noi ci  stiamo salvando perché 8 anni fa abbiamo sviluppato il progetto Metamorfosi – ha detto Benedetti –: abbiamo costruito fabbriche, con uffici tecnici compresi, in tutto il mondo, ma senza diminuire la Danieli di Buttrio perché non possiamo perdere quella massa critica che rende competitiva l’azienda. Abbiamo invece puntato su prodotti innovativi che hanno ampliato la base della produzione e siamo aumentati di 1000 dipendenti all’anno. Serve un equilibrio tra il centro della leadership e il resto della produzione: oggi in Danieli siamo 9600 persone, metà in Europa e metà in Far East, questo ha fatto sì che il costo ora medio del lavoratore in Italia sia sceso da 68 mila a 35 mila euro. Ciò ci ha permesso di non compromettere la realtà locale, che cresce di 200 unità l’anno».

Tutto questo, nonostante un contesto italiano che non dà formazione tecnica, ma nemmeno una risposta adeguata in termini di laureati, che non ne valorizza il merito, tanto che la Danieli sta pensando di passare dall’attuale 5% di ingegneri stranieri a un 35%: più giovani, laureati più in fretta e con maggior predisposizione ad affrontare il management nel tempo della globalizzazione. Ma se l’Università non riesce a rispondere adeguatamente al sistema imprese, come precisato dalla Compagno, è anche perché non viene valutata sul trasferimento tecnologico e dunque concentra la sua eccellenza nel sapere e nel metodo, anche se poi, ha rimarcato, «è anche vero che da noi non c’è solo Danieli, ci sono tante piccole imprese che sempre meno assumono laureati, pur se l’impegno della nostra Università è avere un grande rapporto con il territorio e capire quali sono i suoi fabbisogni».

Un sistema italiano che penalizza fortemente i giovani, dunque: «in Italia – ha detto Da Pozzo – la disoccupazione giovanile è 4 volte più alta di quella generale. Situazione gravissima, unica fra i Paesi europei». Cui si aggiunge il problema, ha insistito Fantoni, «di maturare la consapevolezza che il sistema o riesce a creare condizioni di competitività per crescere nei mercati mondiali o altrimenti il declino è ineluttabile. Stiamo sopportando un delta dal 20-40% nell’energia e del 35% nel gas. La risposta che deve dare la politica non è in termini di fissazione dei prezzi, perché non si può interferire nel mercato, ma realizzando infrastrutture, dando possibilità di importare gas da più fonti, in quantità superiori, creando linee elettriche per il grande mercato europeo dove i costi produzione sono del 30% inferiori a quelli del nostro Paese». 
Una possibile risposta a questa situazione sta nell’imparare a governare l’epocale trasformazione che stiamo vivendo, che si snoda al ritmo della parola «velocità», ha spiegato Marini. Il quale, richiamando l’ultimo capitolo del suo libro, ha parlato della classe dirigente.

«C’è stato un gran processo di effervescenza dell’economia pre-crisi che istituzioni e politica hanno accompagnato, ma quel tipo di sviluppo e prospettiva oggi non funziona più – ha detto –. Manca una visione di futuro, che non deve più essere delimitata territorialmente, poiché siamo ormai una metropoli inconsapevole, soprattutto qui a Nordest. Una classe dirigente c’è, ma non ha fatto ancora salto di consapevolezza per dare discontinuità, facendo sì che le sue decisioni vadano al di là delle singole dimensioni territoriali». Rompendo il vecchio schema del Nordest, dunque, ne va costruito uno nuovo, «approfittando della posizione ideale di confine – ha concluso –, posizione ideale perché le nuove tendenze oggi si vanno a cercare lontano dai centri. E il Nordest è quel luogo, che può essere nuovamente traino se saprà diventare laboratorio, sperimentatore di innovazione e internazionalizzazione».

Nordest, quale futuro per una delle locomotive d'Italia? © Tassotto & Max

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