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Agroindustria regionale friulana: i dati danno l'export in crescita del 9%

Le "nicchie alimentari" sono in controtendenza rispetto al resto della produzione e dimostrano di reggere l'urto della crisi. Lo dice un'indagine del polo formativo agroalimentare presentata alla Camera di Commercio di Udine

Meno impiegati e più tecnici: oltre la metà delle imprese che fanno parte di “nicchie alimentari” (dalla birra artigianale all’apicoltura, dagli olii ai prodotti biologici, dalle piante officinali ai prosciutti artigianali, dal miele agli asparagi) richiede professionalità estremamente diversificate e specifiche, ma anche quelle  meno tradizionali per le imprese del settore, come il responsabile marketing o il progettista del fotovoltaico. È quanto emerge dall’ultima indagine realizzata su 82 imprese del settore nell’ambito del Polo formativo agroalimentare regionale, presentata oggi in Camera di Commercio a Udine in una sorta di bilancio dei tre anni dell’attività progettuale, che ha come capofila il Cefap assieme all’Azienda speciale Ricerca&Formazione della Camera di Commercio di Udine, l’Università, nonché altri partner istituzionali, enti formativi e scuole professionali di tutto il territorio.

Il progetto, riassunto dal presidente di R&F Giorgio Colutta e dal direttore Cefap Massimo Marino, è stato dedicato a indagare i fabbisogni formativi e professionali del settore dell'agroalimentare e alla conseguente predisposizione di corsi di formazione professionali studiati su misura sulle effettive esigenze espresse dalle imprese. Sono state 136 quelle coinvolte nella parte squisitamente formativa del progetto e 257 gli allievi interessati, di cui 110 imprenditori e 147 dipendenti di aziende del settore. «Alcuni degli allievi sono poi addirittura riusciti a creare una propria impresa alla conclusione di un corso», ha precisato Marino.

Le persone coinvolte sono dunque una sintesi ideale di quelle 1.117 localizzazioni attive al 30 settembre 2012 che, come precisato dal responsabile del Centro studi della Cciaa di Udine Mario Passon, rappresentano l’agroindustria in Fvg, ossia l’8,5% dell’intera industria manifatturiera, con un valore delle esportazioni nel 2011 di 534 milioni di euro, in crescita del 13% rispetto al 2010 e già di quasi del 9% nel primo semestre di quest’anno. «Segnali importanti – ha detto Colutta – per il futuro di questo comparto che noi vogliamo accompagnare».

In particolare, in quest’ultima annualità del progetto ci si è concentrati sulle “nicchie”, un universo che è stato scandagliato da Angela Zolli della società Labrea e che ha interessato le conclusioni, tratte dall’assessore regionale alle risorse rurali, agroalimentari e forestali Claudio Violino.
Quasi l’82% delle imprese intervistate presenta fino a 10 addetti (il 63,4%  ne ha addirittura fino a 4) e il 58% non supera i 200 mila euro di fatturato annuo (il 16% fattura fra i 200  mila e i 500 mila euro, mentre solo l’1,2% oltre i 10 milioni di euro). Le imprese sono prevalentemente a conduzione familiare e  all’elevata qualità delle produzioni corrisponde elevata specializzazione degli imprenditori. Per questo sono richieste figure professionali estremamente diversificate (potatore, apicoltore, ecc…) ma anche nuove figure con competenze trasversali, come per esempio l’addetto alle attività agrituristiche. «Questa indagine mette in evidenza fattori significativi – ha commentato l’assessore Violino –: ci conferma una volta di più che in Friuli dobbiamo puntare sulle nicchie, non standardizzandole, ma dando loro servizi. Oggi dobbiamo trovare il giusto equilibrio fra il “piccolo” e il mercato globale, certo, ma dobbiamo saper valorizzare il piccolo che c’è già, è flessibile, ha dinamiche familiari che assorbono e reagiscono meglio alle difficoltà e producono qualità e identità, valori cardine che ci rendono riconoscibili, sono il meglio di ciò noi offriamo al territorio ma che è anche il mercato globale a richiederci. Nel nuovo Psr ci poniamo come obiettivo finale di arrivare a un paniere di prodotti del Fvg , che sottendano a filiere rappresentative da supportare e valorizzare con contributi per la promozione, la formazione, il marketing, la creazione di rete sul territorio e la riconoscibilità in tutto il mondo».

L’indagine presentata in Sala Valduga ha evidenziato anche come esista un “mismatch” tra domanda e offerta. Le motivazioni sono una non adeguata formazione specifica o lo scarso interesse generale per questo tipo di professioni, che però prevedono per l’11% nuovi inserimenti occupazionali nel breve periodo, una percentuale significativa contando le dimensioni delle aziende coinvolte. Dalle interviste risulta crescente l’interesse per la formazione in ambiti come la gestione d’impresa, le tecnologie per la comunicazione e il marketing. Anche la comunicazione integrata con il sistema territorio è ritenuta rilevante, vista la centralità delle produzioni enogastronomiche per la valorizzazione dell’intera regione. Se è elevata l’esigenza di aggiornamento e formazione, in cui queste imprese sono interessate a investire, è particolarmente richiesta una formazione sul luogo di lavoro (interna all’impresa) e il confronto con altri professionisti e colleghi. Meno la formazione in aula o online. Tra i principali ostacoli espressi dalle aziende, infatti, si rileva la scarsa disponibilità di tempo e anche il fatto che l’attività produttiva impedisce di allontanarsi dal luogo di lavoro. L’indagine qualitativa ha fatto emergere come vi sia nel settore un’elevata frammentazione dimensionale delle imprese e ancora scarso sviluppo di reti e rapporti di tipo cooperativo, così come ancora scarso sviluppo delle infrastrutture telematiche, tutti temi su cui lavorare, parallelamente alla formazione, «come ha già cominciato a fare la Camera di Commercio – ha concluso Colutta –, con l’impegno a supportare le reti d’impresa e in particolare, proprio nel settore, con l’Ocm vino, la prima Ati in Italia guidata da una Cciaa, che nel tempo è passata da 7 a oltre 40 aziende interessate in progetti di promozione all’estero in forma di network».
 

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