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Cronaca

8 mila euro per chiedere giustizia, ricorso vinto contro la Polizia Locale

La storia è nata a causa di un semplice caffè al bar. Due le contravvenzioni comminate ad un cittadino udinese, una anche per resistenza a pubblico ufficiale

Pubblichiamo parti di una lettera inviata alla nostra redazione da un cittadino udinese, Luigino Zanier, che vuole portare alla luce la storia che lo ha visto "vittima" di una lunga peripezia giudiziaria iniziata a causa di un caffè al bar. 

Sento la necessità di portare a conoscenza anche ai vostri lettori una disavventura procuratami da una vicenda nata da chi credevo dovesse tutelarmi

Primo verbale

In centro città, in uno slargo dichiarato “permesso” al parcheggio ad auto esponenti il contrassegno  disabili, come mi era stato confermato dai carabinieri, ho lasciato l’auto per accompagnare la mia sorella disabile al bar per un veloce caffè. Al ritorno sul parabrezza ho però trovato una multa dalla motivazione incomprensibile (non si trattava di divieto di sosta). Quindi, credendo di essere nel giusto, sono andato a cercare un vigile per farmi spiegare le ragioni.

La richiesta di spiegazioni

Dopo alcune ricerche fra i vicoli cittadini, ho poi trovato un vigile urbano a cui chiedere spiegazioni. Questo, non essendo in grado di fornire risposte, ha chiesto quindi l’intervento del responsabile della contravvenzione. Ci siamo incontrati così tutti e tre nel luogo dove era parcheggiata l'auto e dove avevo lasciato mia sorella con non poca apprensione. Dopo una nuova identificazione, finalmente la risposta:Noi non diamo spiegazioni: faccia ricorso

Secondo verbale

Contemporaneamente il vigile della contravvenzione ha però estratto carta e penna mettendosi  a compilare un nuovo verbale. Il tempo correva: a mezzogiorno avrei dovuto essere a casa per somministrare le cure mediche salvavita a mia sorella. Mi resi conto che era già passato da un’ora e, considerato che la compilazione del verbale era ancora in alto mare, proposi di  lasciare l’auto a disposizione degli agenti e raggiungere con qualche altro mezzo casa. Alla mia preoccupazione l’agente sentenziò: “Sua sorella sta’ benissimo”. Terminata faticosamente la compilazione con grafia incomprensibile, l'agente mi chiese di sottoscriverlo, ma non riuscendo a leggerlo e non avendo avuto risposte in merito al verbale, mi rifiutai a porre la mia firma. Appena allontanati, notando uno stato convulsivo, ho poi dovuto portare mia sorella al pronto soccorso per assicurarmi sulle sue condizioni di salute. Solo una volta rientrato a casa, nel tardo pomeriggio, con calma, ho esaminato il verbale che riportava al suo interno l'articolo di un Codice Penale, il 337 (resistenza a Pubblico ufficiale).

Il ricorso

Si trattava di un reato gravissimo che ha portato all’emissione di un decreto penale di condanna a cui ho fatto opposizione  portando le testimonianze di due signori che, avendo assistito alla scena, si sono dichiarati disponibili a raccontare l'evoluzione dei fatti. Ci sono voluti mesi di preoccupazioni, mortificazioni, ansie e profonda frustrazione prima ottenere la sentenza di assoluzione (Reg. Sent. n.1091/16 dep. 11.10.2016) sostenendo notevoli spese legali per circa ottomila euro.

Impossibile otternere i danni morali

“Pericolo scampato” anche se non è possibile far ricorso per danni morali e materiali. Ma cosa sarebbe successo se le conseguenze per la salute di mia sorella fossero state più gravi? Ora ribadisco la domanda iniziale: chi chiede tutele? Ho notato infatti una certa incapacità a sostenere le obiezioni dei cittadini che genera eccessi dannosi che minano la fiducia.


 

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