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Cronaca Centro / Largo Ospedale Vecchio, 10

Suggeriscono al cliente di non rispondere al Pm, gli perquisiscono casa e studio

È il curioso caso che ha visto come involontari protagonisti due avvocati udinesi. Il motivo? Aver suggerito ai propri assistiti di avvalersi della facoltà di non rispondere

Indagati per aver suggerito al proprio assistito di avvalersi della facoltà di non rispondere. L’incredibile storia ha come protagonisti due avvocati di Udine, che il 23 giugno hanno visto perquisire i propri studi e le abitazioni perché accusati di "infedele patrocinio". Secondo il pm che ha ottenuto la perquisizione e il sequestro, uno dei due avvocati avrebbe violato la legge suggerendo ad una cliente, accusata di favoreggiamento, di rimanere in silenzio durante un interrogatorio.

Il consiglio dell'Ordine

Un’accusa, secondo il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Udine (in base a quanto riportato dal Messaggero Veneto), «strana e incongrua», dato che quel suggerimento è un diritto previsto dal nostro ordinamento. Ma non solo: l’imputata avrebbe commesso il reato di favoreggiamento a vantaggio del marito, quando il codice penale prevede il vincolo matrimoniale «quale causa di non punibilità». L’altro legale, invece, difensore del marito, è stato tirato in ballo per un altro strano reato: la sua responsabilità sarebbe quella di essersi scambiato informazioni con il collega, comportamento, evidenzia il Coa, previsto dal codice deontologico. Iniziativa, quella inerente alla perquisizione di abitazioni e studi dei due legali, condannata da parte dell'Ordine degli avvocati di Udine giudicata dal Coa  «un concreto pregiudizio all’indipendenza del difensore» e al principio «dell’inviolabilità del diritto alla difesa».

L'eco sulla stampa

Ma ad indignare è stata anche la rilevanza data sulla stampa alla notizia, che sebbene non riportasse i nomi dei due avvocati ha provocato «pregiudizio e nocumento dell’intera categoria professionale». Rilievo che, invece, non è stato dato alla decisione del Riesame, che il 13 luglio ha annullato il provvedimento restituendo il materiale sequestrato, «non essendo ravvisabile il fumus del reato di patrocinio infedele». La linea difensiva seguita non può essere censurata, dice il Tribunale, in quanto «diritto espressamente riconosciuto».

Prepotenza?

Appare come un atto di prepotenza, dunque, anche per quanto riguarda lo scambio di informazioni tra i due avvocati. Un’interferenza nel rapporto tra difensore e difeso, motivata, forse, dal fatto che la linea della difesa non era evidentemente «suscettibile di condurre all’acquisizione di elementi di prova a sostegno della tesi accusatoria», denuncia il Coa e che vede nell’atteggiamento della Procura una forma di condizionamento degli avvocati che, non volendo essere incriminati, cambierebbero strategia. 

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