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Giovedì, 25 Aprile 2024
diritto alla salute

Morto in carcere a 22 anni, «vogliamo la verità»

Dopo la morte di Ziad Dzhihad Krizh, sono la madre Despina e il garante per i diritti dei detenuti Franco Corleone a insistere per sapere cosa è successo in carcere a Udine lo scorso 12 marzo 2020, ma l'ultima perizia del medico legale va verso un archiviazione del caso

Non trova pace la madre del giovane Ziad Dzhihad Krizh, morto in carcere a Udine lo scorso 12 marzo 2020. Dopo la tragica notizia dell'improvvisa scomparsa del figlio, Despina Krizh ha cercato in tutti i modi di fare chiarezza e un'indagine era stata aperta dalla Procura della Repubblica di Udine. Una nuova perizia del medico legale incaricato della pm Lucia Terzriol, il professor Carlo Moreschi, sta però mettendo fine alla vicenda, nonostante l'interessamento del garante dei diritti dei detenuti Franco Corleone.

Muore in carcere a soli 22 anni, la Procura apre un'indagine

Krizh, nato in Bulgaria, viveva in Italia da quando era bambino, con la mamma e un fratello. Negli ultimi anni si era trasferito in Francia e proprio lì il giovane era stato raggiunto da un mandato di arresto europeo nell'agosto del 2019. Già nel febbraio del 2016 il ragazzo era stato arrestato una prima volta a Udine, con l'accusa di detenzione ai fini di spaccio. La madre del giovane ci riferì di aver parlato con lui il giorno prima del decesso, sabato 14 marzo: lo stato di salute era buono e - a quanto pare - stava assumendo del paracetamolo per abbassare una leggera febbre. Krizh è stato poi trovato senza vita la mattina di domenica 15 marzo. Per Corleone, «la morte di Ziad appare assai poco limpida e le sue cause poco chiare, tanto da essere oggetto di una inchiesta ancora aperta. Per questo ho cercato di approfondire, esaminando le relative perizie».

I dubbi

I dubbi su quanto accaduto in carcere sono sollevati sia dalla madre di Ziad che dal garante. «Ho sentito Ziad sia il venerdì che il sabato prima di domenica 15 marzo - ci ha raccontato al tempo la mamma -. Aveva 37,5 di febbre e mi ha detto che gli era stata somministrata della Tachipirina. Sabato la febbre gli era scesa a 37, ma Ziad mi ha riferito che gli avevano fatto comunque le analisi del sangue e delle urine, ma nessuno mi hai mai dato i risultati di questi esami. Da quel che so in carcere era da una quindicina di giorni che mancavano i sanitari e potrebbe essere che gli sia stata somministrata una cura sbagliata». «Chi è dentro sa cos’è successo e appena ci saranno i risultati ci sarà anche un motivo per una morte così. A 22 anni non si può morire in questo modo e io so dentro di me che mio figlio era sano come un pesce».

Le perizie

Su richiesta della pm Lucia Terzariol, il professor Carlo Moreschi ha preso visione della memoria difensiva dell'avv. Marco Cavallini al fine di "esprimere le proprie osservazioni tecniche". «In riferimento alle critiche mosse sulle conclusioni delle consulenze tecniche si deve partire da due presupposti: il primo è quello della causa della morte. In assenza di alterazioni anatomo-patologiche in grado di giustificare il decesso e la presenza di Metadone e suo metabolita nel sangue e nelle urine, ho potuto concludere per un decesso dovuto a intossicazione acuta da metadone, in assenza di altre sostanze che potessero svolgere ruolo concausale nel decesso», scrive il medico legale nel suo documento. 
Per quanto riguarda gli altri farmaci ipotizzati dall'avvocato, ​«negli esami del medico non ne sono stati rinvenuti né nel sangue né nelle urine, se non tracce di benzodiazepine nelle urine. Il secondo presupposto è che nella memoria non si propongono ipotesi alternative motivate; di fatto non viene portato alcun nuovo elemento che possa giustificare il decesso».

«Per quanto riguarda, poi, l'assistenza, il detenuto era stato visitato il 1 marzo 2020 con correzione della terapia e poi il 14 marzo per un modesto rialzo febbrile. Anche qui non si comprende cosa avrebbero dovuto far i medici di diverso da quanto posto in essere. Infine, per quanto riguarda la mancata somministrazione di Naloxone si ricorda che il ragazzo era stato rinvenuto privo di coscienza e senza segni vitali (polso e respirazione), come risulta dal verbale del 118, e in questa situazione la somministrazione di Naloxone sarebbe stata del tutto superflua in quanto il farmaco non avrebbe potuto andare in circolo», conclude la perizia di Moreschi. 

Gli interrogativi

A porsi ancora delle domande in merito al supplemento di consulenza tecnica sulle cause della morte, è ancora una volta il garante Corleone. Il primo dubbio riguarda il fatto che la «dottoressa Terzariol, pubblico ministero, ha ritenuto di affidare il supplemento di perizia allo stesso autore delle due precedenti, il prof. Carlo Moreschi». Per il garante, il risultato è «desolante: una scarna paginetta per ribadire le proprie sicure conclusioni. Si potrebbe osservare che siamo di fronte a un rifiuto di approfondimento e a una manifestazione di altezzosità, davvero incomprensibili».

Osservazioni

Di seguito le perplessità avanzate da Corleone sulla perizia di Moreschi. «Come si fa ad affermare con assoluta certezza che la morte sia legata alla assunzione di metadone se non si è in grado di stabilire la dose, ma solo la presenza del metabolita?», è la prima osservazione dle garante, che continua. «Come si giustifica una intossicazione e una overdose collegata, in una persona che è ufficialmente in trattamento con il metadone e quindi ha una tolleranza che lo protegge dalle intossicazioni?». Per Corleone, inoltre, risulta incomprensibile che non si sia potuto verificare quanto metadone sia stato ingerito, perché una dose così massiccia da superare la tolleranza di un giovane di 22 anni, «è un'evenienza rarissima anche tra le persone libere che sono in trattamento». Inoltre risulta sospetto, agli occhi di Corleone e della madre del giovane, che sia stato proprio il metadone assunto con dosaggi terapeutici prescritti - e protettivi proprio di una intossicazione - a essere ritenuto sufficiente per stabilire una relazione di causa-effetto per la morte e non le lesioni rilevate sul corpo. Altresì la perplessità riguarda la mancanza di una ricerca sulla combinazione degli effetti sedativi e di depressione sul sistema nervoso «visto che le benzodiazepine compaiono nelle urine e che risultano prescrizioni di psicofarmaci vari, non tutti presumibilmente ricercati».

Un ulteriore dubbio emerge rispetto alla somministrazione di Naloxone. «L’affermazione ai limiti della sicumera che la somministrazione di Naloxone sarebbe stata del tutto superflua contrasta con esperienze accadute in strada in diversi casi, in cui persone date per spacciate si sono risvegliate», dichiara Corleone. Che aggiunge: «Si deve ricordare infine che Krizh manifestava da alcuni giorni diversi sintomi fisici e psicologici di malessere riportati nella precedente perizia. Come fa lo stesso perito ora ad affermare che a parte la febbre non vi erano altri problemi? Sintomi di sofferenza c’erano e anche di un certo rilievo. Se il giovane fosse stato tenuto sotto osservazione avendo cura della sofferenza, forse la situazione non sarebbe precipitata e un intervento tempestivo sarebbe stato efficace».

Il diritto alla salute

Per fare un punto sull'attuazione della grande riforma del passaggio della medicina in carcere al Servizio sanitario pubblico, l'Ufficio del Garante, d’accordo con la Asl, organizza nel mese di giugno un seminario per affrontare tutte le criticità e le soluzioni indispensabili. «Che fare? Non vorrei essere nei panni della dr.ssa Terzariol che ha di fronte a sé due strade antitetiche: prendere atto dei contenuti delle perizie e archiviare una brutta
storia
oppure non arrendersi e andare fino in fondo per capire quello che è successo. La scelta è tra la rassegnazione al destino incomprensibile e la ricerca, senza fanatismi, della verità e trasparenza che chiede la madre di
Krizh», conclude Corleone.

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