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Il lutto / Centro / Viale Ungheria

Addio alla "tromba dell'Udinese", è morto Italo Nicoletti

Barbiere di professione (storico il suo Regola Zucche in viale Ungheria), innamorato della squadra bianconera per passione

“Ho scritto anche io un inno per l’Udinese. S’intitola ‘Vola Udinese vola’. Secondo me è molto più bello degli altri che mettono allo stadio. Ti va di ascoltarlo?” “Sentiamo”, gli dico. Inizia una nenia, priva pure di quell’anima trash che dà un senso a tante canzoni dedicate alle squadre di pallone. Musica basica, testo da pensierini delle elementari. Il ritornello faceva tipo: ‘Vola Udinese vola, tu sei la sola, nei nostri cuor…’. “Ti piace?”, mi chiede ansioso Italo. “No, per niente” rispondo. “Va bene, allora sentiamo quest’altra canzone, sempre mia: ‘Meringa del pasticcer’. È una rumba cubana”. Quella invece, anche se credo fosse tutt’altro rispetto a quello che dichiarava lui, mi andava a genio. Era carina. Raccontava di un artigiano orgoglioso delle meringhe che riusciva a creare. Ogni tanto la canticchio ancora, perché mi fa ridere parecchio. È stata la prima cosa che ho fatto quando ho saputo della sua morte. Poi mi è scappata una mezza risata. Non per mancanza di rispetto, ma come tributo, perché Italo Nicoletti desiderava sempre questo: cantare, ridere e divertirsi. Avevo una certa confidenza con lui visto che avevamo suonato assieme, negli anni ’90. Era un musicista mediocre, come me del resto. Chi ha un minimo di competenza sul tema e lo dovesse avere ascoltato con la sua tromba, allo stadio o da qualche altra parte, non può dire altrimenti. Le prove però, in sua presenza, diventavano uno spasso. Su un paio d’ore a disposizione credo riuscissimo a esercitarci per una quarantina di minuti al massimo. Il resto erano ricordi, analisi, valutazioni, approfondimenti su tutto lo scibile ma con delle priorità. Al vertice dei discorsi, ovviamente, le sorti della squadra del cuore e poi, a rimorchio, la politica. Non era gradito dagli altri componenti del gruppo, che lo prendevano in giro per il suo modo di spacciare conoscenze (che alla fine aveva davvero) e competenze. Fossimo stati ragazzini sarebbe stato bullismo. Essendo adulti (o quasi nel mio caso) era solo maleducazione. Italo se ne fregava bellamente e la cosa me lo faceva stare ancora più simpatico. Al tempo era anche una delle anime delle battaglie contro il campo nomadi di via Monte Sei Busi, ispirate da Diego Volpe Pasini. Sul tema lo provocavo di continuo. Lui incassava e rilanciava, sempre col sorriso stampato in faccia. Istrione, presenzialista, generoso, affezionato agli aneddoti oltre i limiti della logorrea, passionale, pragmatico. A una festa di carnevale, ad Abbazia, salì sul palco parecchio brillo, convincendo l’orchestrina a suonare non mi ricordo cosa di Louis Armstrong (altro suo grande amore). “Italo”, gli faccio, “non ti vergogni a celebrare un nero? Tu sei contro i diversi”. “Non dire cazzate. Se sto dalla tua parte sono il più a favore dei diversi che ci sia”. Touché. Viva Italo.

Il messaggio della famiglia di Italo su Facebook

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