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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca Varmo

Mattia Del Zotto viveva nel suo mondo come un "hikikomori"

La figura è stata codificata in Giappone. «Potrebbe essere uno di loro» sostiene l'esperto

Isolato. Senza nessun contatto con il mondo esterno. Sono questi gli elementi prinicpali emersi attorno alla figura di Mattia Del Zotto, il 27enne brianzolo che ha confessato di aver ucciso con il veleno due nonni, la zia e aver tentato di fare lo stesso con altre cinque persone tra cui quattro familiari. 

Gli inquirenti hanno descritto il presunto autore degli omicidi col tallio come un esperto di informatica: sapeva come muoversi con il computer e cancellare ogni indizio. Prima, come già raccontato, avrebbe cercato di procurarsi dell'arsenico poi, proprio perché l'impresa avrebbe messo a rischio il suo anonimato, ha optato per il solfato di tallio. Così ha creato una casella di posta elettronica con un nome falso: Davide Galimberti. Poi - con grande esperienza - riuscendo a nascondere ogni traccia, ha preso i contatti con un'azienda di Padova e ha acquistato sei flaconcini di veleno. Aveva cancellato tutti i collegamenti "scomodi", ma ha dimenticato la bozza di una email in cui sollecitava la ditta a fargli arrivare il metallo pesante, preoccupandosi che non gli venisse addebitata due volte l’Iva. Parole che sono state lette dai carabinieri e per lui, nella giornata di giovedì 7 dicembre, sono scattate le manette.

La figura dell’hikikomori

Mattia era un ragazzo chiuso, nessun contatto con il mondo esterno. Una figura che, a tratti, ricorda un fenomeno, quello degli hikikomori. Il termine giapponese è stato coniato da Tamaki Saito, e si riferisce a individui - di solito adolescenti maschi - che hanno scelto di ritirarsi dalla vita sociale e si rifiutano di avere contatti diretti con il mondo esterno. Il condizionale è d’obbligo: «I contorni della vicenda non sono ancora chiari, ma sì: Mattia potrebbe essere un hikikomori - spiega Marco Crepaldi, fondatore di Hikikomori Italia, interpellato da MonzaToday -. Ovviamente mancano ancora alcuni elementi per poterlo affermare con certezza». In passato ci sono stati casi di hikikomori che si sono sporcati le mani col sangue, quasi sempre in Giappone. «Sono episodi che hanno generato un grande clamore mediatico - continua Crepaldi -. Erano hikikomori, ma si tratta di circostanze estreme e probabilmente generalizzare è complesso. L’omicidio è comunque un’eccezione, non una prassi. Sono più comuni, invece, gli episodi di violenza domestica, spesso nei confronti dei genitori: gli hikikomori soffrono la loro presenza all’interno della loro vita e della casa - precisa Crepaldi -. Parafrasando, si tratta di casi molto simili alla violenza domestica, fenomeno molto comune anche in Italia». 

Nel nostro paese

E in Italia ci sono i primi fenomeni di hikikomori. «Attualmente, secondo alcune stime degli psicoterapeuti ce ne sono circa centomila - conclude Crepaldi -. Sono ragazzi tra i 14 e i 25 anni, tutti molto giovani perché nel nostro paese è appunto un fenomeno 'giovane': sta colpendo la prima generazione. In Giappone, invece, ci sono anche casi che riguardano persone più anziane, fino ai 40 anni. Sono gli hikikomori di seconda generazione, ragazzi che non sono ancora riusciti a vincere questo disagio».


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