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Cronaca

Premio Terzani, la giuria annuncia la cinquina finale

Protagonisti della diciassettesima edizione Hala Kodmani per La Siria promessa, Andri Snær Magnason per Il tempo e l’acqua, Elif Shafak per Non abbiate paura, Ocean Vuong per Brevemente risplendiamo sulla terra e Anna Wiener per La valle oscura

Hala Kodmani per La Siria promessa (Francesco Brioschi Editore), Andri Snær Magnason per Il tempo e l’acqua (Iperborea), Elif Shafak per Non abbiate paura (Rizzoli), Ocean Vuong per Brevemente risplendiamo sulla terra (La nave di Teseo) e Anna Wiener per La valle oscura (Adelphi) sono i cinque finalisti della diciassettesima edizione del Premio letterario internazionale Tiziano Terzani, riconoscimento istituito e promosso dall’associazione culturale vicino/lontano di Udine insieme alla famiglia Terzani, nel segno del giornalista e scrittore fiorentino. «Nell’anno della pandemia, dall’esito ancora imprevedibile – commenta Angela Terzani, presidente della giuria -, abbiamo cercato di individuare dei titoli che esplorassero le inquietudini e il malessere del nostro tempo, per comprendere le ragioni del sentimento di solitudine e infelicità, sia dell'uomo che della natura, che ormai tutti percepiamo. Questo, per restare fedeli allo spirito di Tiziano che ha sempre voluto tentare di capire, e far capire, i risvolti nascosti di quel che turba i popoli e gli individui». I giurati - Enza Campino, Toni Capuozzo, Marco Del Corona, Andrea Filippi, Milena Gabanelli, Nicola Gasbarro, Ettore Mo, Carla Nicolini, Marco Pacini, Paolo Pecile, Remo Politeo, Marino Sinibaldi - costretti quest’anno dalla pandemia a riunirsi online e non, come sempre, nella casa fiorentina della famiglia Terzani, si sono ora riservati un supplemento di riflessione prima di passare alla votazione finale, prevista per fine maggio. Il vincitore sarà annunciato a inizio giugno e domenica 4 luglio (ore 21) sarà – auspicabilmente in presenza – l’atteso protagonista, a Udine, della serata-evento per la consegna del Premio, appuntamento di chiusura della XVII edizione del Festival vicino/lontano

Chi sono, visti da vicino, i cinque finalisti? 

Hala Kodmani, giornalista franco-siriana, lavora come reporter per Libération ed è stata capo redattore di France24. Esperta di mondo arabo, dal 2011 ha coperto il conflitto in Siria. Per i suoi reportage ha ricevuto nel 2013 il premio della stampa diplomatica francese. La Siria promessa è il suo primo libro, uscito in Francia nel 2014, cui ha fatto seguito, nel 2017, Seule dans Raqqa, non ancora tradotto in italiano. Pubblicato in Italia da Francesco Brioschi Editore, La Siria promessa è al contempo romanzo epistolare, saggio e autobiografia. In uno scambio immaginario di mail, il padre di Hala, diplomatico siriano morto ormai da due anni, sorprendentemente risponde per iscritto alle riflessioni della figlia, ricostruendo la storia recente della loro patria perduta. Costretto all’esilio dagli anni Sessanta, Nazem ha imparato ad amare, della Francia, i viali alberati, i colori, le boulangerie e le opportunità democratiche. Della Siria, critica aspramente la deriva autoritaria degli Assad, rimpiangendo il periodo glorioso delle lotte per l’indipendenza, la rinascita araba e la fine dei colonialismi. Un risveglio rivoluzionario che, inaspettatamente, sembra ripetersi all’alba del 2011. Ed è Hala a raccontare al padre gli anni caldi della Primavera araba, quando al di là del Mediterraneo, di nuovo, si leva un grido di libertà e in Tunisia, Egitto e Siria dilagano le proteste. Ma quando in Siria divampa la guerra civile il carteggio si interrompe. Nazem chiede alla figlia di non scrivergli più, perché incapace di sopportare il dolore per le sorti infelici del suo paese. Ben sappiamo, purtroppo, quanto terribile sarebbe stato lo scenario degli anni a venire.

Andri Snær Magnason è un intellettuale islandese. Scrittore e poeta, ma anche performer, attivista ambientale a fianco della cantautrice Björk, oltre che candidato alle ultime elezioni presidenziali islandesi, si occupa da molti anni di divulgazione scientifica e temi ambientali. Le sue opere sono state tradotte in venti Paesi. Il saggio Dreamland: A Self-Help Manual for a Frightened Nation (2008), che denuncia lo sfruttamento intensivo delle risorse naturali in Islanda, è diventato un lungometraggio diretto dallo stesso Magnason e dal regista islandese Thorfinnur Gudnason. Tra i suoi libri tradotti in italiano la raccolta di poesie Bonus (Nottetempo, 2016) e il libro per bambini Lo scrigno del tempo (Giunti, 2019). Il tempo e l’acqua, uscito in Islanda nel 2019 e pubblicato l’anno dopo in Italia da Iperborea, nasce da una consapevolezza che impone una domanda. Assodato che l’aumento delle temperature e del livello dei mari, e insieme lo stravolgimento chimico delle loro acque, sono provocati dalle attività umane e minacciano di distruggere per sempre ecosistemi millenari, provocare uragani e inondazioni sempre più devastanti, erodere le terre abitabili e coltivabili, costringendo a migrazioni di massa non solo gli esseri umani, ma anche tutte le altre specie viventi, perché assistiamo a tutto ciò senza intervenire in modo decisivo? Forse perché non sentiamo così vicini quei cento o duecento anni che ci separano da una catastrofe annunciata. Gli appelli allarmati degli scienziati non riescono a toccarci neppure emotivamente. Probabilmente resteranno lettera morta finché la forza dei miti collettivi e della fantasia non consegneranno loro un’anima, consentendoci di interiorizzarne un’immagine e un significato. È questo il compito che si è dato Andri Snær Magnason, intrecciando affascinanti storie di famiglia, future conversazioni immaginarie tra figlie e pronipoti, interviste al Dalai Lama, incursioni nella poesia scaldica e in quella romantica.  Così, Il tempo e l’acqua ci mette sotto gli occhi ineccepibili dati scientifici, ma li immerge nel patrimonio culturale comune per investirli di senso, e invitare ciascuno di noi a dare un piccolo, decisivo contributo alla salvaguardia del nostro stesso habitat. 

Elif Shafak è una delle voci più autorevoli e più seguite della letteratura turca. Figlia di genitori separati – filosofo il padre, diplomatica la madre - vive la sua infanzia e la prima giovinezza in Spagna e in Giordania con la madre. Conclude gli studi universitari in Turchia e ottiene docenze negli Stati Uniti e a Istanbul. Pubblica il suo primo romanzo a 24 anni. Viene processata, con la richiesta di una condanna a tre anni di prigione, per aver offeso, ne La bastarda di Istanbul, il buon nome della Turchia. Dal 2007 vive a Londra. I suoi libri - tra cui i recenti: La bambina che non amava il suo nome (2018) e I miei ultimi 10 minuti e 38 secondi in questo strano mondo (2019), finalista al Booker Prize e vincitore del Lattes Grinzane - sono tradotti in più di cinquanta lingue. In italiano sono pubblicati da Rizzoli. Per Elif Shafak il racconto è un’attività identitaria del genere umano, tanto antica quanto irrinunciabile per una specie, la nostra, che si fonda sulla comunità. Le storie ci uniscono, mentre tutto ciò che rimane non detto, nascosto dal silenzio, produce distanza, isolamento. È questa la riflessione da cui muove Non abbiate paura, un saggio agile, ma profondo e intenso, anch’esso pubblicato da Rizzoli. Il nostro mondo diviso, tartassato dal fiorire dei populismi, ferito da un’imprevista e violentissima crisi sanitaria, può trovare slancio, e un rinnovato ottimismo, dall’ascolto dell’altro. Stiamo attraversando una fase storica unica, che spinge verso un cambiamento radicale. A cosa guardare, allora, per dare forma a un nuovo presente? Elif Shafak, cittadina del mondo per destino, stretta con il cuore alla sua Istanbul, dove non le è permesso tornare, trova una risposta nel potere dello scambio con gli altri: in una comunicazione che non rifugga la complessità, in una conoscenza che sia antitesi dell’informazione superficiale. Per arrivare infine a un racconto comune, un nuovo spazio di civiltà, in cui identificarsi. 

Ocean Vuong è nato in Vietnam nel 1988 e si è trasferito negli Stati Uniti nel 1990. Poeta, con la sua raccolta di debutto, Cielo notturno con fori d’uscita, ha vinto nel 2016 il Whiting Award. Ha ricevuto inoltre il Pushcart Prize e molti altri prestigiosi riconoscimenti. Sue opere di poesia e narrativa sono state pubblicate sulle più prestigiose testate, tra cui New York TimesThe New YorkerThe Nation, New Republic e The American Poetry Review, che gli ha conferito lo Stanley Kunitz Prize for Younger Poets. Cielo notturno con fori d’uscita è stato tradotto in albanese, arabo, bulgaro, cantonese, francese, hindi, spagnolo e ucraino. Brevemente risplendiamo sulla terra, pubblicato in Italia da La nave di Teseo, è il suo primo romanzo. Accolto dalla critica come il nuovo grande romanzo americano, è stato già tradotto in tutto il mondo. Little Dog, la voce narrante di questa straordinaria storia di formazione, ricostruisce in una lettera alla madre la storia della sua famiglia, segnata dalla guerra del Vietnam e dall'emigrazione negli Stati Uniti. Arrivati in America nel 1990, Little Dog e sua madre Rose si stabiliscono in Connecticut, dove lei si mantiene facendo manicure e pedicure. Ma la donna soffre di un disturbo da stress post-traumatico che si manifesta in violenti scoppi d’ira contro il figlio, alternati a gesti di tenerezza assoluta. Con loro abita la nonna Lan, che ha vissuto il dramma della guerra in prima persona: fuggita da un matrimonio combinato con un uomo molto più anziano, è costretta a vendersi ai soldati americani per mantenersi. Little Dog, crescendo, si fa interprete del dialogo impossibile tra le generazioni della sua famiglia tutta al femminile, unendo due donne che non parlano l’inglese e faticano a integrarsi nella cultura americana. Prendendosi cura degli altri, Little Dog impara a conoscere se stesso, dal difficile rapporto con i suoi coetanei che lo bullizzano per la sua diversità, fino alla scoperta dell’amore. Un romanzo che parla di identità, differenza, di come impariamo ad abitare i sentimenti più grandi.

Anna Wiener è oggi una firma del New Yorker. Nel 2013, a 25 anni, e fresca di studi letterari, lascia un impiego precario nell’editoria per un lavoro in una startup che aspira a diventare la Netflix dei libri. Lascia New York per San Francisco. Di società in società, pur non avendo una formazione da ingegnere informatico, si costruisce una carriera nell’industria tecnologica, osservando dall’interno la Silicon Valley. La valle oscura, pubblicato in italiano da Adelphi, è il suo memoir di cinque anni di lavoro nel mondo dei colossi del digitale e dei loro tanti satelliti. Scritto in una prosa brillante, pone domande assai serie sull'universo alieno delle startup. Per quale ragione gli spazi di lavoro sono disegnati come appartamenti, e gli appartamenti come spazi di lavoro? In base a quale idea del mondo anche chi hai seduto di fronte comunica con te solo via messaggio? Come mai gli unici scambi diretti fra umani ruotano intorno alle ordinazioni del delivery successivo? E soprattutto, oltre a imporre una vita quotidiana così diversa da tutte le altre, cosa fanno veramente le startup? Accumulano quantità inimmaginabili di dati su ciascuno di noi, e li organizzano secondo strategie sempre più veloci e sofisticate, ma perché? Per vendere, d’accordo. Per sorvegliare, come no. Ma poi? Su domande come queste speculiamo ogni giorno, senza neppure sapere come sia fatta la Silicon Valley, e cosa sia. Anna Wiener ci ha lavorato per cinque anni, e quando ne è uscita ha deciso di scrivere questo straordinario rapporto, che ha assunto la forma di un romanzo autobiografico e generazionale. Si ride molto, a leggerlo. Ma si ride sempre, quando si ha paura.

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