L'odissea per un raffreddore: nessuno la visita per timore del Covid e lei è costretta a casa
Una commessa è a casa da due settimane dopo che aveva accusato alcuni sintomi da raffreddamento: il medico di base non l'ha mai visitata e solo dopo 15 giorni di isolamento, senza che nessuno le dicesse cosa fare, ha potuto fare un tampone
Questa è la storia di Franca (il nome è di fantasia), ma potrebbe essere quella di chiunque di noi. Franca lavora in un negozio di scarpe, fa la commessa, e due settimane fa avverte un po' di malessere, di quelli che fino a un anno fa avremmo catalogato banalmente come "malanno di stagione"... un po' di raffreddore, una vaga spossatezza. Ma il momento non è banale, non lo è affatto, e anche un semplice raffreddamento ha il potere, oggi, di mettere in crisi l'animo più indomito. Così Franca decide, dopo la pausa pranzo, di non tornare a lavoro andando a casa. Scrupolosamente si misura la febbre e quel 38 che appare sul termometro, un numero che normalmente sarebbe stato preso con un moto di fastidio e nulla più, rappresenta "il male". Che fare? La temperatura ha sfondato il fatidico muro dei 37.5 che oramai rappresenta le colonne d'Ercole dell'isolamento sociale e della preoccupazione, quello che, una volta superato, ti costringe a prendere delle decisioni. E così Franca e suo marito decidono di avvisare il medico di famiglia che, via mail, fa partire la malattia per quattro giorni. «La cosa che ci ha straniti è che mia moglie non è mai stata visitata, perché il suo medico non fa entrare nessuno in ambulatorio», ci racconta il marito di Franca.
L'odissea
La prima telefonata al medico curante è stata fatta l'8 ottobre: dopo l'invio del certificato medico via mail, senza visita, è partita anche la segnalazione all'Asl come sospetto Covid. «Il lunedì successivo, dopo i quattro giorni previsti, è scaduto il periodo di malattia e ci poniamo il problema se il caso è risolto lì oppure dobbiamo proseguire con qualche protocollo, ma nessuno si è fatto sentire», continua il marito. Nel frattempo Franca sta bene, la febbre non è durata nemmeno un giorno e il raffreddamento è praticamente scomparso. Ma, lo ripetiamo, il momento è quel che è e il senso di responsabilità prevale pur nell'incertezza. Il medico curante non risponde più al telefono, avendo attivato la segreteria telefonica, così Franca chiama il Dipartimento di prevenzione che dice di non aver ancora preso in carico la richiesta inviata quattro giorni prima dal medico curante, ovvero di inserire Franca nei sospetti casi Covid che così decide autonomamente di rimanere a casa finché qualcuno non le fa sapere cosa deve fare.
Senza risposte
«Da quel momento siamo praticamente entrati nel regno di nessuno: il medico non ci ha più risposto e il Dipartimento ci ha fatto capire che erano troppo impegnati per prendere in carico il caso di mia moglie e così, esasperato, ho chiamato la guardia medica che ci ha detto che finché non effettuerà il tampone dovrà rimanere in isolamento». Per i due coniugi comincia un piccolo calvario fatto di assenze, dubbi e paradossi: la febbre di Franca è durata un giorno, il certificato medico è scaduto, lei è in attesa che il Dipartimento prenda in carico la sua situazione e, nel frattempo, è costretta a rimanere a casa da lavoro senza garanzia che i giorni saltati siano coperti dalla malattia. «Ho deciso di prendermi io un giorno di ferie da lavoro – ci racconta il marito di Franca – così da poter andare di persona in tutti gli uffici». Prima tappa: Asl in via San Valentino a Udine. «Non mi fanno entrare, ma una signora mi dice di fare la segnalazione all'Urp. Nel frattempo fanno un controllo sul medico curante, dopo che ho raccontato della segreteria telefonica sempra attiva, dell'impossibilità di parlare con lui, di accedere in laboratorio e farsi visitare. Ne esce che si è cambiato gli orari da solo, senza avvisare e che non può essere che non risponda al telefono».
Seconda tappa, Dipartimento di prevenzione in via Chiusaforte. «Arrivo qui per capire se mia moglie è oggetto di qualche provvedimento, cioè se il suo caso è stato preso in carico ma mi dicono che sono impegnati e di chiamare o mandare una mail. Non mi ha mai risposto nessuno».
Terza tappa, l'Urp all'interno del Santa Maria della Misericordia. «Trovo una signora molto disponibile che ammette subito che la mia è ormai una delle lamentele più frequenti, cosa che non mi fa ovviamente ben sperare, e decido di fare un reclamo. Mi viene presentata una lista di medici sostituti a quello curante, nella speranza che qualcuno mi risponda». Dopo una serie di segreterie telefoniche, finalmente il marito di Franca riesce a parlare con un medico. «Siamo rimasti abbastanza male dalla sua risposta, perché ci ha detto che mia moglie deve assolutamente rimanere a casa ma siccome lui non è il medico curante non avrebbe rilasciato alcun certificato medico, scaricando sostanzialmente sul Dipartimento di prevenzione la responsabilità di qualsiasi azione. Mi sono sentito consapevole del fatto che in questo modo è sparita la medicina sul territorio», ci racconta sconsolato.
La svolta
«Dopo cinque minuti dalla telefonata con il medico sostituto a mia moglie è arrivata la mail del suo medico curante, con un certificato medico che attesta l'inizio di una nuova malattia e non la prosecuzione della prima. Ci è sembrato palese che, nel frattempo, i due dottori si siano sentiti. Nella mail, il medico scrive di "non essere il segretario di nessuno" e che non potrà fare altri certificati medici». A questo punto marito e moglie, sconfortati, decidono che l'unica cosa che possono fare è prenotare un tampone in via privata e avvalersi dell'unico documento che può aiutarli a sbloccare la loro situazione: l'esito del test. «Abbiamo così prenotato un tampone, che ci è stato fissato da lì a una settimana: la cosa incredibile è che il dipartimento di prevenzione, senza preavviso e senza averci mai contattati né aver risposto alle nostre mail e telefonate, ci ha inviato di lì a poco una comunicazione di averci fissato un tampone con appuntamento al Gervasutta, due giorni dopo l'appuntamento per via privata che avevamo appena prenotato!».
Ora Franca, che nel frattepo ha dovuto chiedere ferie da lavoro («e menomale che con il suo titolare è in buoni rapporti...», ci dice il marito), è in attesa dell'esito del tampone, ma le domande sono tante, visto che i certificati medici sono stati compilati su carta bianca («hanno valore per l'Inps?», si chiedono) e che, stando a quanto riferito dall'Urp dell'Azienda sanitaria, questa è una situazione paradossale in cui si trovano moltissime persone.