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Giovedì, 25 Aprile 2024
Pena di morte / Tricesimo

Attivista friulano protagonista della lotta contro la pena di morte in Texas

Daniel Minisini, originario di Tricesimo, fa da megafono all'impegno contro le condanne a morte da una radio di Houston, la città dove vive da 12 anni

“I condannati a morte ci scrivono delle lettere, perché è l’unico modo che hanno di comunicare con l’esterno. Quando mi arrivò il primo messaggio su carta da parte di un dead man walking fu terribile”. A parlare è Daniel Minisini, classe 1978, originario di Tricesimo, attivista contro la pena capitale a Houston, Texas, dove vive da 12 anni. Daniel, studi al liceo Copernico e poi all’Alma Mater di Bologna, combatte la sua battaglia – e quella di tanti altri – dai microfoni di The Prison Show, un programma radiofonico che va in onda sulla stazione KPFT ogni venerdì sera, dalle 21 alle 23. Lo fa da 6 anni, assieme ad una decina di persone, da quando ha conosciuto bene l’emittente che lo ospita come volontario. 

Come mai Houston?

“Sono qui dal 2009. Mi trasferii da Milano, dove lavoravo dopo l’università, assieme a mia moglie. Poi sono nati i nostri tre figli, tutti negli States. Sono un geologo e lavoro come ricercatore nei laboratori della Shell. Houston sta alla geologia come Hollywood al cinema. È la città di questa scienza. Cerco di capire come si formano le rocce. Inoltre sono professore alla Rice University, una delle sedi accademiche cittadine. Se però mi si chiede cosa faccio non mi limito ad enunciare queste due attività, anche quando mi candido per nuove posizioni lavorative. Dico sempre che partecipo a un programma alla radio e che mi prodigo contro la pena di morte”. 

Come nacque l’impegno?

“Fu curioso. Atterrai in aeroporto un venerdì sera, rientrando da Città del Messico. Ascoltavo la stazione KPFT perché mi piaceva la musica che mandava in onda. A un certo punto iniziò The Prison Show, trasmettendo notizie relative al mondo delle prigioni. Cose di servizio per i carcerati. A me interessava relativamente. A un certo punto il conduttore disse che cercavano una persona che parlasse inglese e spagnolo fluentemente. Mia madre è castigliana e in qualche modo mi sentii coinvolto, ma al tempo stesso pensai che in una zona come quella del Texas ci fossero già migliaia di persone con competenze del genere. Così lasciai perdere”.

Poi il secondo segnale.

“Sì. Tre settimane dopo, un altro venerdì sera. Mentre ero fuori con degli amici risentii la trasmissione e rifecero la stessa richiesta. Decisi così di presentarmi alla radio quella sera stessa. Bussai, in una casa isolata in una zona di campagna, dove hanno la sede. Per me fu un ingresso in un nuovo vecchio mondo. Si trattava della cosa più vicina all’Italia che avessi mai trovato negli Usa. Era come entrare in un nostro bar. Gente di tutti i tipi, niente burocrazia o protocolli. Mi sentii subito a casa. C’erano personaggi di ogni tipo: avvocati, ex prigionieri, attivisti, senzatetto, giornalisti, giocatori di baseball. Tutto questo perché la radio raccoglie le voci della città. Non è commerciale”.

Daniel Minisini in radio

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Una dimensione affascinante.

“È una community radio, i cui fondi arrivano solo dalle donazioni degli ascoltatori. Costa circa 150 euro all’ora, più o meno 1 milione e mezzo all’anno. Riuscendo a sopravvivere in questo modo non ci sono pubblicità e censure. Di conseguenza è un covo di gente che di solito non è rappresentata dalle altre testate. La radio riesce a diffondersi in un raggio di 100 chilometri attorno alla città, toccando anche un penitenziario a nord, dove c’è il 'braccio della morte' più numeroso di tutti gli Usa”.

Così iniziò l’avventura.

“Mi dissero che dovevo tradurre tutto quello che facevano in spagnolo, per i tanti carcerati ispanici dello Stato (un terzo del totale). Dopo le traduzioni, che si riferivano e si riferiscono ancora – più o meno – a un’ora di informazioni, iniziai ad avere lo spazio per diffondere notizie che legano l’immigrazione con la prigione. Per esempio la questione dei bambini, figli dei migranti, separati dai genitori al confine e messi in gabbia nel 2018, durante il mandato di Trump. Oppure le storie sulle carovane delle persone che arrivano ai confini con gli Stati Uniti dall’Honduras, a piedi”. 

Che genere di informazioni veicolate?

“Bisogna pensare che per i carcerati non ci sono le stesse possibilità che abbiamo tutti. Anche quelle opportunità che ormai consideriamo basiche. Diffondiamo notizie che generalmente non vanno sui giornali. Gli aumenti delle chiamate telefoniche, quelli dei francobolli, le disposizioni relative alla possibilità di usare o meno i social. Sembrano banalità, ma per i detenuti non lo sono affatto. Per loro rappresentiamo un riferimento importante. Poi, dopo l’ora di servizio, apriamo le linee telefoniche e i parenti dei carcerati ci chiamano per salutarli. Loro ascoltano le voci dei loro cari e sono felici”. 

Lo staff di The Prison Show

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Non solo notizie, ma anche attivismo contro la pena capitale.

“Certo. In Texas ci sono 198 persone attualmente condannate a morte, quasi 2500 in tutti gli Stati Uniti. Ora siamo concentrati sulla storia di Melissa Lucio, una donna di origine messicana la cui condanna è fissata per il 27 aprile. È accusata di aver ucciso la figlia di 2 anni. I fatti si riferiscono al 2007. Lei si dichiara innocente, sostenendo che la piccola fosse stata vittima di una caduta accidentale in casa. Alle spalle Melissa ha una storia durissima, fatta di infinite violenze subite”. 

Una lotta del genere non è semplice in un contesto simile. 

“La maggior parte degli americani (circa il 60 per cento) è favorevole alla pena di morte, nonostante le preoccupazioni sulla gestione della cosa. Almeno stando ai dati del giugno 2021 diffusi dal Pew Research Center. La tendenza, però, va verso la diminuzione del sostegno alle esecuzioni, che negli ultimi anni sono diminuite in maniera sensibile. Si è iniziato a comprendere, anche grazie a un impegno degli avvocati nell’analisi psicologica e una ricettività dei giudici su questo aspetto, che dietro a vicende di questo tipo ci sono sempre situazioni border line. Ci sono stati ultimamente giudici che si sono espressi apertamente contro la pena di morte. Sono segnali importanti”.

E dall’Italia vi arrivano segnali?

“Sì. Nel nostro paese c’è una grandissima attenzione sul tema. Forse in tanti la danno per scontata, ma non è così facile avere un approccio di questo tipo su un aspetto così forte. Qui si percepisce bene che l’Italia è molto attenta alla lotta contro la pena capitale. Ne vado orgoglioso e per questo, a volte, mi presento in radio con la bandiera italiana”. 

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