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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca Via Marsala / Via Marsala, 40

Coronavirus, la resa di un'osteria storica: "Il nostro locale non vale più niente"

I gestori dei "Tre Musoni" di via Marsala raccontano la grave crisi che li ha investiti a causa dell'emergenza Covid-19

Un lungo post, carico di sentimenti e dignità, per raccontare le difficoltà dettate dall'emergenza Covid-19 per la loro attività. Lo hanno scritto Erika e Marcello dell'osteria "Ai Tre Musoni", una vera e propria istituzione non solo per il quartiere che ruota attorno a via Marsala, ma per tutta la città di Udine. 

Le parole di Erika e Marcello

Carissimi amici,
esattamente 2 mesi fa, l'11 marzo, chiudevamo i Tre Musoni in ottemperanza al Dpcm per l'emergenza covid-19. Tantissimi di voi ci hanno chiamato chiedendoci come stavamo affrontando la situazione e le prospettive per il locale: nelle righe che seguono rispondiamo mettendovi al corrente di quanto si sta profilando per l'immediato futuro.

FASE 1
Senza poter prevedere quanto sarebbe durata la quarantena, il giorno successivo, il 12 marzo, abbiamo deciso di lasciare un importo sul conto corrente aziendale sufficiente a pagare per circa tre mesi quei servizi (luce, gas, telefono) assolutamente necessari per il giorno della riapertura, prelevando la differenza da destinare ad un “polmone” per la nostra vita privata (per la spesa, l'affitto di casa, le bollette, la benzina, eccetera); per fortuna non avevamo esposizioni con nessun fornitore, tuttavia abbiamo chiesto al proprietario dei muri, al commercialista, all'assicuratore e ad altri consulenti di seguirci sin quando possibile, perché di lì a qualche settimana non saremmo più stati in grado di onorare le loro competenze.
Ad oggi, trascorsi 60 giorni, non abbiamo ricevuto un euro dallo Stato: né i 600 euro del bonus partite iva, né la cassa integrazione, né il 20% dell'importo dell'affitto dei muri come promesso, neanche i buoni spesa alimentari. Nel frattempo, non avendo altre fonti di reddito, abbiamo intaccato sensibilmente quel polmone iniziale.
E veniamo alla situazione odierna: sinora abbiamo accumulato 14.350 euro (quattordicimilatrecentocinquanta) di debiti tra affitti non pagati, imposte del primo trimestre, imposte del secondo trimestre, contributi previdenziali, tasse relative all'esercizio 2019, onorari dei consulenti, eccetera eccetera. Sono gran parte anche se non la totalità delle spese “strutturali” che non possiamo eludere o ridurre.

FASE 2
È stata indicata la data del 18 maggio per la riapertura del locale.
Nel frattempo ci è stata concessa la possibilità dell'asporto: senza essere del settore, anche voi potete immaginare che non è possibile replicare gli incassi che facevamo prima della chiusura attraverso l'asporto: per motivi logistici (siamo obbligati ad appoggiarci ad una ditta specializzata nelle consegne), per motivi evidenti (pensate a quante consumazioni al bar e al tavolo non vengono più effettuate), per motivi fiscali (mentre il servizio all'interno del locale ha un'aliquota iva del 10%, per l'asporto l'aliquota sale al 22%, quindi un quinto dell'incasso va allo Stato).
Per rimediare al gap economico, abbiamo la possibilità di accedere ad un credito bancario: i famosi 25.000 euro. In realtà si tratta di un limite massimo, per noi inferiore dato che la cifra è modulata sul bilancio 2019 di ogni azienda. Indipendentemente dall'importo, si tratta di prestito bancario che va restituito, un buco economico che non produce nulla (non è un prestito che chiediamo per eseguire migliorie al locale o acquistare nuove attrezzature, ma servirebbe solo a coprire quelle spese che nonostante l'attività sia ferma continuano a “camminare”, compreso il pagamento delle tasse che non sono state abolite bensì solo posticipate).

LA RIPARTENZA
Ed eccoci al prossimo 18 maggio: anzitutto non abbiamo a tutt'oggi (11 maggio) un vademecum ufficiale da parte dell'Inail sulle disposizioni e norme tecniche atte a garantire ai clienti (e a noi stessi) la protezione sanitaria. Come voi, apprendiamo dalla televisione qualche indiscrezione in merito, ma anche nella migliore delle ipotesi ci vedremo ridotta del 50% la capienza del locale rispetto a 60 giorni fa (ma con i costi strutturali invariati). Basterebbe questo dato a farci desistere dal riaprire. Vogliamo però aggiungere che dovremo “investire” almeno 2.000 (duemila) euro per eseguire la sanificazione del locale, acquistare distanziatori, plexiglass, gel disinfettanti, visiere e probabilmente qualche prodotto specifico per sterilizzare bicchieri, piatti e posate.

LO STATO DELL'ARTE
Come potete dedurre, riaprire in queste condizioni significa accumulare ogni mese tra i 3 ed i 4.000 euro di debito. Anche ammesso che l'emergenza Covid-19 duri solo ancora 6 mesi, potete calcolare da soli il nostro bilancio al 31 dicembre prossimo.

Oggi dobbiamo arrenderci all'evidenza: la nostra attività non vale più niente: niente poiché non sarà più in grado di abbattere le spese necessarie a mantenerla aperta; niente perché non si presenterà nessun acquirente a rilevarla.
5 anni di lavoro e di vita buttati via.

Tra quelle quattro mura, al banco e tra i tavoli, sono nate e rimarranno le amicizie, vostre e dei tanti simpatizzanti e conoscenti che ci hanno sostenuto in questo lungo percorso, e di questo ringraziamo tutti col cuore: non solo ci avete dato da vivere materialmente, ma moralmente ci avete arricchito: con voi abbiamo dialogato, riso, ragionato, discusso, condiviso emozioni e pensieri, come in una famiglia allargata dove il locale era una casa che accoglieva tutti.
Grazie

Erika e Marcello
 

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