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Mega acciaieria a San Giorgio / San Giorgio di Nogaro

La mega acciaieria Danieli a San Giorgio di Nogaro: ecco che tipo di impianto è previsto

Il colosso industriale friulano conferma la volontà di costruire una mega acciaieria "di nuova generazione" nella zona industriale di Porto Nogaro: abbiamo provato a spiegare che tipo di tecnologia verrà usata e che impatto avrà. Fedriga disponibile al confronto coi comitati, che però hanno rifiutato l'occasione 

Abbiamo finora pubblicato due articoli riguardanti il presunto progetto per la realizzazione di un nuovo impianto per la produzione di lamiere con acciaieria integrata, che dovrebbe realizzarsi nella zona industriale dell’Aussa Corno. Finora abbiamo ricostruito i passaggi comunicativi da parte della Regione Friuli Venezia Giulia a partire dal 2021, quando si parlava di una realizzazione a Muggia. Con questo articolo vi spieghiamo, dunque, di che tipo di impianto dovrebbe trattarsi.

Il progetto

Al luglio 2021 risale la prima presentazione del piano Metinvest-Danieli alla Regione Friuli Venezia Giulia. Si parlava di un polo siderurgico capace di produrre 2,4 milioni di tonnellate di coils all’anno, con la possibilità di aumentare la produzione fino a 4 milioni. Il progetto prevedeva di partire inizialmente dalla lavorazione delle bramme, ovvero i semilavorati (che, al momento, provengono in Regione in larga parte dai Paesi dell’Est Europa). Si trattava, quindi, di un progetto che prevedeva un processo di laminazione. L’ipotesi è che il precipitare della guerra in Ucraina, e quindi il venire meno della fonte della materia prima (Metinvest è, infatti, la proprietaria delle acciaierie di Mariupol) per la produzione di coils dalle bramme, abbia spinto i promotori del progetto ad annunciare che lo stesso sarebbe stato integrato a monte con l’auto-produzione di bramme partendo da acciaio liquido. Quindi un’acciaieria alimentata da Dri (Direct reduced iron, tradotto dall’inglese ferro ridotto diretto, chiamato anche spugna di ferro) a sua volta prodotta in situ da minerale di ferro con un mega impianto di riduzione diretta. Questi sono i primi dati emersi e confermati in un secondo momento (giugno 2022) con ulteriori dichiarazioni pubbliche sia da parte della Regione, con le parole dell’assessore Sergio Emidio Bini, sia da parte di Danieli, con le dichiarazioni del presidente Gianpietro Benedetti. La produzione così prevista diventerebbe dunque la prima concorrente all’Ilva, il noto impianto di Taranto. L’Ilva, infatti, è il più grande polo siderurgico d’Europa, costruito per la produzione di 8 milioni di tonnellate all’anno ma che, viste le recenti complicazioni, si è ridotto a 4. In sostanza, ciò che dovrebbe sorgere a San Giorgio di Nogaro sarebbe un impianto in grado di eguagliare la produzione di Taranto. Regione e Danieli, però, a differenza dell’impianto pugliese, hanno sempre parlato di “acciaio green” e “impianto con tecnologia di ultima generazione”. Proviamo a capire di cosa si tratta,

Gli impianti

Cercando di semplificare, al momento esistono due principali tecnologie per convertire il minerale di ferro, costituito da ossidi di ferro, in acciaio. La più diffusa è la tecnologia mediante altoforno, che usa come combustibile, ed elemento riducente, il carbon coke. Nell’altoforno si produce ghisa liquida che viene poi trasformata in acciaio all’interno di grossi contenitori chiamati convertitori. L’altra tecnologia, già nota da decenni, è quella della riduzione diretta (Dri) unita al forno elettrico. In sostanza il minerale di ferro viene ridotto a Dri (spugna di ferro) che rimane allo stato solido in un reattore in cui si fa fluire un gas riducente (CO+H2) prodotto dal metano. Il Dri è poi alimentato, anche in carica mista con rottame, al forno elettrico dove si completa la trasformazione ad acciaio liquido. La principale differenza tra i due processi è l’agente riducente utilizzato per rimuovere l’ossigeno dai minerali di ferro: l’altoforno, come detto, utilizza carbonio sotto forma di coke metallurgico, mentre gli impianti di riduzione diretta sono normalmente idrogenoalimentati, appunto, con metano. La letteratura esistente, e pubblicazioni anche della stessa Danieli facilmente consultabili, indica consumi di metano per un impianto Dri da 1 milione di tonnellate pari a 280 milioni di metri cubi all’anno. Ovviamente, se la taglia dell’impianto pensato sarà di 4 milioni di tonnellate di coils all’anno, il consumo di metano (comprendendo anche quello al forno elettrico e al laminatoio a valle) potrebbe superare 1.5 miliardi di metri cubi all’anno, che è circa il 2% del consumo nazionale. Il metano non è una risorsa rinnovabile e il suo impiego genera CO2, il gas serra causa principale dell’aumento di temperatura del pianeta. Il ciclo riduzione diretta unito al forno elettrico, in questo senso, è meno impattante del ciclo integrato altoforno con cockeria e convertitori che produce mediamente 1,600 kg/ton, mentre il progetto presentato dalla Danieli per la de-carbonizzazione di Taranto con il ciclo di riduzione diretta parla di una riduzione di circa il 50% di CO2, quindi a 800 kg/ton. Benedetti, finora, ha sempre dichiarato che il processo di riduzione diretta potrebbe impiegare idrogeno al posto del metano, limitando quindi al minimo le emissioni di CO2 e producendo il paventato “acciaio green”: al momento, però, questa strada appare impraticabile per gli altissimi consumi energetici necessari per produrre l’idrogeno. Con le attuali tecnologie di produzione servirebbe un parco fotovoltaico di circa 6,500 ettari (65 km2) e batterie di elettrolizzatori enormi con costi stimati per oltre 20 miliardi di euro. 

Danieli

Il colosso siderurgico friulano ha recentemente iniziato una campagna pubblicitaria per informare la cittadinanza rispetto all’acciaieria nella zona industriale di Porto Nogaro, confermando quindi in tal senso che “Danieli, comunque, costruirà l’impianto”, come si legge nell’inserto pubblicitario. Rispetto al progetto vero e proprio, Danieli comunica che “l’impianto sarebbe un eccezionale e unico esempio di high-tech, di sviluppo sostenibile” e che il gruppo è “indiscutibile leader in tutto il mondo nello sviluppo di impianti sostenibili". Una produzione di acciaio ha però sempre un impatto notevole sul territorio. Danieli sostiene che "la qualità del progetto garantisce fin d'ora un più che corretto impatto ambientale". Non si parla, però, delle scorie annuali che un impianto di queste dimensioni produce: si tratta di centinaia di migliaia di metri cubi che, in genere, sono accatastate sul perimetro dell’azienda, ma anche polveri captate dai fumi del processo con contenuto di metalli pesanti potenzialmente molto pericolosi. L'impatto ambientale, poi, si deve per forza riferire ai lavori di dragaggio già previsti dalla Regione Fvg: un dragaggio di almeno 4 metri del torrente Corno.

La cittadinanza

Nel frattempo continuano e sono continuati gli incontri pubblici per parlare dell'acciaieria nella Bassa friulana. Il prossimo sabato 25 marzo è in previsione, organizzata da un gruppo di residenti del comune di Marano Lagunare, un'assemblea pubblica sul "ventilato progetto di costruzione di una mega acciaieria nella Zona Industriale Aussa-Corno. Un insediamento di tale portata andrebbe ad alterare i delicati equilibri del nostro territorio dal punto di vista: ambientale, lavorativo, turistico, sociale e della viabilità". All'incontro, previsto per le 18 nella sala parrocchiale di Marano Lagunare, interverranno Paolo De Toni, del Comitato “Giù le mani dalle Fontane”, e Alda Sancin, fondatrice dell'associazione NoSmog di Servola.

Occasione mancata

Lo scorso 15 marzo, invece, alle 16.30 si è svolto un presidio di circa duecento persone davanti alla Canoa in via Famula 44 a San Giorgio di Nogaro. La cittadinanza ha chiesto un confronto con il presidente regionale Massimiliano Fedriga in occasione di un appuntamento di campagna elettorale in cui si presentava il leghista Mauro Bordin. Fedriga ha accettato di parlare con i rappresentanti dell'iniziativa, gli attivisti Paolo De Toni e Aldevis Tibaldi che, però, hanno perso l’occasione nonostante la disponibilità accordata. 

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