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Mercoledì, 24 Aprile 2024

Chiusa in casa da quasi 400 giorni e il vaccino non arriva

L'appello accorato di Benedetta De Cecco, di Faugnacco, affetta da amiotrofia spinale. "Non sono stata ancora vaccinata, il rischio è di mettere in gioco la vita"

Benedetta De Cecco, di Faugnacco di Martignacco, affetta da amiotrofia spinale: "È più di un anno che siamo reclusi in casa e ci sottoponiamo a misure ancora più restrittive di quelle della zona rossa. Perché dobbiamo ancora aspettare?". L'intervento a "L'aria che tira" dopo un post sul suo profilo Facebook.

Il testo del post di Benedetta De Cecco

Mi chiamo Benedetta, sono affetta da amiotrofia spinale (SMA II), ho 28 anni e da 382 giorni queste ciabatte sono le mie migliori amiche.

E no, non è una battuta ma una triste realtà.
382 fa ho vissuto il mio ultimo giorno di “normalità”, poi l’abbandono più totale.

Come tutti mi sono ritrovata davanti a una situazione drammatica, sconosciuta, assurda. Questa situazione si chiama COVID-19, come tutti ben sappiamo, ma si chiama anche politica e, nel suo senso più concreto, istituzioni.

382 giorni fa ho iniziato a pormi un milione di domande, sulla mia salute e su quanto questo simpatico Coronavirus fosse o non fosse pericoloso per me. Domande che logicamente non hanno avuto una risposta. Domande che ho messo a tacere “semplicemente” rispettando le “regole” (questa cosa per molti sconosciuta) e non solo quelle imposte dal Governo, ma quelle che io e la mia famiglia ci siamo imposti per evitare ogni possibile rischio di contagio.

382 giorni dopo non è cambiato nulla. E io sono ancora qua con le stesse domande e le stesse paure.

Si perché per chi come me ha problemi respiratori, per chi rischia di venire intubato con una semplice bronchite, per chi con la saturazione a 95 ci convive, pensare di contrarre il COVID-19 in forma pesante rappresenta non solo un incubo ma una vera e propria sfida alla vita.

In 382 giorni io e la mia famiglia abbiamo dovuto (no, abbiamo scelto, è vero) rinunciare a tanto, troppo. E non parlo dei weekend fuori porta o dei sacri aperitivi in grande compagnia (quelli ce li siamo proprio scordati). Parlo di rinunce che fanno male, che lasciano il segno.

In 382 giorni le mie uscite si possono contare sulle dita di due mani, me le ricordo perfettamente, mi sembrava di andare su Marte a prendere la macchina per andare da qualche parte. Visite mediche per lo più.

In 382 giorni ho rinunciato a fare sport (non lo sapevate? Anche i disabili fanno sport!), ho rinunciato a vedere tanti amici e parenti, altri (pochi) li ho visti con mille precauzioni, ho rinunciato al mio lavoro (non lo sapevate? Ebbene sì, i disabili lavorano pure!!), ho rinunciato al divertimento, alle cene fuori, ai viaggi, alle vacanze.

Ma sapete qual è la cosa peggiore? Vedere le persone a me vicine dover rinunciare a loro volta a tutto questo. Per me. Per proteggermi.

Per paura. Si perché lo ammetto, a me tutto questo fa paura. Potete forse biasimarmi?
Per coscienza. Perché per quanto ami prendermi dei rischi, rischiare con la mia salute non mi va proprio.

382 giorni dopo sono davvero stufa. Sono stanca. Stremata. Non ne posso più. Sono sotto stress. Ho crisi di pianto e molto spesso per dormire ho bisogno dei miei genitori accanto, perché tutta questa situazione mi ha resa vulnerabile, incapace di far fronte alle mie paure da sola.

382 giorni dopo sono qui che mi guardo i piedi. Guardo queste ciabatte che mi hanno accompagnato e penso che tutto questo sia assurdo. Penso che non voglio più rinunciare a vivere. Penso che non voglio più essere terrorizzata da chiunque mi si avvicini più di un metro. Penso che non voglio più che le persone a me vicine rinuncino a vivere per causa mia! E penso che basterebbe così poco per poterlo fare.

382 giorni dopo sono arrabbiata con le istituzioni perché dopo numerose richieste sono ancora qui. Chiusa in casa mia, con le ciabatte ai piedi, ad aspettare un cazzo di vaccino.

Perché i docenti universitari sono molto più a rischio di me che da 382 giorni ho smesso di vivere la mia normalità.

E allora cara Regione Friuli Venezia Giulia, caro Massimiliano Fedriga, caro Riccardo Riccardi cosa vogliamo fare? Quanto ancora dovrò aspettare?

E no, non mi dite che dipende dal Governo Nazionale perché ragazzi nelle mie stesse condizioni, in altre regioni come Lazio, Veneto ed Emilia-Romagna, si sono già vaccinati.
Hanno già ricominciato a sorridere.

 


 

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