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Alimentazione

Quando, perché e soprattutto quali mandorle fanno male alla salute

Ecco perché è bene non esagerare nelle quantità e nella frequenza con cui si assumono le mandorle e quale tipo preferire

Che la frutta secca sia un'importante alleata per la salute del nostro fisico è ormai risaputo. Per non parlare del fatto che con le mandorle, la pasticceria siciliana ha creato alcuni tra i dolci più succulenti d'Italia.

Eppure proprio le mandorle possono avere un impatto dannoso sulla salute, determinando stati infiammatori che causano sensazioni dolorose più o meno gravi.

Ma quando e perché le mandorle fanno male?

Quando le mandorle fanno male

«È noto come l’alimentazione e il tipo di grassi utilizzati, possano avere un ruolo fondamentale per il nostro benessere - spiega Maria Antonietta Labrozzi , farmacista, esperta in nutrizione clinica che, da svariati anni, si occupa di problemi gastrointestinali di natura non patologica e intolleranze alimentari -. Le mandorle così come le arachidi contengono un grasso detto acido arachidonico, indispensabile per alcune reazioni metaboliche. Ma la presenza eccessiva di questo acido nel nostro organismo può stimolare il processo infiammatorio e il dolore ad esso associato».

Dopo aver mangiato troppe mandorle, infatti, non è insolito accusare dolore cervicale e vertigini, nausea, dolori intestinali o irritazioni cutanee. Tra l’altro, se l’organismo si trova già in uno stato di infiammazione, abusarne va a peggiorare la situazione e l’infiammazione è destinata ad aumentare. Se poi le mandorle sono anche tostate, cioè hanno subito l’intervento del calore, possono diventare tossiche in quanto sviluppano sostanze decisamente dannose, tra cui l’acrilamide, accusata di essere un elemento cancerogeno. Inoltre, il processo di tostatura le priva di elementi molto utili quali vitamine e complessi minerali, sensibili al calore.

«Il mio consiglio non è di eliminare completamente mandorle, arachidi o nocciole dall’alimentazione - afferma Labrozzi - ma piuttosto di non esagerare nelle quantità e nella frequenza di assunzione, preferendo senza dubbio quelle crude alle tostate. È utile anche mangiarle insieme ad alimenti contenenti sostanze antinfiammatorie come ad esempio ortaggi crudi, tipo il cetriolo, il sedano, il finocchio o frutta come kiwi e ananas».

Intolleranza e infiammazione

L’infiammazione da alimenti, comunemente conosciuta come intolleranza alimentare, produce un’alterazione che danneggia la membrana delle cellule modificando il loro corretto funzionamento. In questo modo cellule e organi vanno in sofferenza e iniziano a non lavorare come dovrebbero. Ne conseguono difficoltà di digestione, gonfiore addominale, acidità, reflusso e bruciore di stomaco.

A volte però la sola alimentazione non è sufficiente per ritrovare l’equilibrio gastrointestinale. È bene quindi avvalersi di integratori alimentari che possano ripristinare il naturale benessere del nostro corpo.

«Sul mercato - conclude Labrozzi - ce ne sono diversi, però non tutti riescono a rispondere alle specifiche esigenze delle persone. Integratori alimentari a base di Glutammina e Boswellia, possono essere molto utili. La Boswellia viene utilizzata come rimedio delle patologie infiammatorie croniche a patogenesi immunologica o allergica, mentre la Glutammina, si comporta da ‘cerotto dell’intestino’, aiutandolo nella riparazione della mucosa intestinale. Potrebbe aiutare molto una supplementazione di Omega3, soprattutto per bilanciare il corretto rapporto con gli Omega6, spesso preponderanti nel nostro organismo. Il consiglio è sempre di affidarsi a un esperto, evitando l’automedicazione».

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