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Fa la patente per la moto e parte verso l'Asia, tra la voglia di avventura e lo scetticismo dei locali

Francesca D'Alonzo, in sella alla sua due ruote, ha percorso più di 11 mila chilometri fino in Georgia. Il suo viaggio avrebbe dovuto essere molto più lungo ma è stato ridotto per le restrizioni del Covid

La partenza il giorno 11 agosto da Cervignano, insieme al suo compagno di vita, e questa volta anche di avventura, Amedeo. Lui a bordo della Jeep Willys che ha restaurato e con cui percorre le rotte centroasiatiche da oltre quattro anni come storico avventuriero, lei, Francesca D'Alonzo, in sella alla sua Yamaha Tènéré700 Spirit, alla prima esperienza di viaggio su due ruote. La patente della moto Francesca ce l'ha solo da dicembre 2020, ma invece di acquisire esperienza su strade e percorsi vicino a casa, decide di vivere il suo sogno. "Questo viaggio l'ho immaginato, sognato, progettato questo inverno, quando la speranza che le restrizioni ai confini sarebbero state meno forti era grande, più della paura di trovarmi di fronte a un vicolo cieco – ci racconta Francesca –. Un viaggio che avrebbe dovuto portarmi fino a Samarcanda. Ma purtroppo mi sono scontrata contro la realtà: i paesi centro asiatici sono ancora duramente colpiti dal Covid. Senza contare la situazione politica in Afghanistan, zona in cui avrei dovuto originariamente passare". Nonostante i problemi che sarebbero potuti sorgere e alle accuse che arrivavano da più arti di essere una sprovveduta a viaggiare da donna in paesi musulmani, Francesca intraprende il suo viaggio, alla scoperta di zone fuori dagli itinerari turistici classici.

Turchia orientale su un altopiano a 2400 mt-2

Il viaggio

"La scuola di viaggio ho voluto farmela lunga la strada e ogni giorno aggiungo un tassello nuovo" dice Francesca. Partenza l'11 agosto, cinquantuno giorni di viaggio per attraversare Slovenia, Croazia, Serbia. Bulgaria e Turchia. Da qui avrebbe dovuto passare per Iraq e Iran. Aveva anche un carnet de passage nello zaino. Ma non è bastato. I visti turistici sono bloccati e ancora non vengono rilasciati. "Sono entrata in Georgia sperando di ottenere un visto russo di transito per entrare in Kazakistan e poi in Uzbekistan, ma niente. Ci riproverò appena possibile, sperando di realizzare quel sogno che ho di viaggiare in motocicletta e perdermi negli incontri attraverso il centro Asia".

Buzludzha - Bulgaria-2

L'intervista

Qual è stato il tuo impatto con le persone comuni che hai incontrato nel tuo viaggio?

Magnifico, ho ricevuto un'ospitalità straordinaria, spontanea e gratuita. Quando arrivavo in un nuovo paese, la gente del luogo mi osservava, scrutava, si interrogava in capannelli su chi fossi, da dove venissi, che ci facessi là. Soprattutto quando attraversavo luoghi lontani dalle classiche rotte turistiche. In Turchia orientale, per esempio, mi è successo spesso. E poi, quando mi toglievo il casco, lo stupore era grande nel realizzare che era una giovane donna alla guida di quella grande moto troppo carica. Per loro sei un forestiero a cui dare una mano, dell'acqua, il conforto del the caldo, dei biscotti, una sedia quando aspetti. Un sorriso sempre. Piccoli gesti che quando sei lontana da casa te la fanno sentire un po’ più vicina. 

Qual è l'esperienza che ti è rimasta più impressa?

Il silenzio che c’è percorrendo la strada che corre parallela al muro che separa la Turchia orientale dal confine siriano e curdo iracheno, attraversando infiniti posti di blocco, ai quali però la targa italiana portava sempre un sorriso e un saluto da parte dei militari.

Qualche episodio divertente da raccontarci?

Quando sono arrivata a Doğubeyazit, città turca di frontiera con l’Iran, un ufficiale turco mi ha riconosciuta e mi ha salutata ad un incrocio, è venuto fuori che mi stava seguendo sui social da una settimana e ci ha invitati a cena fuori, regalandomi anche le sue stellette del grado precedente di maggiore. E il poliziotto toscano che abbiamo incontrato sul confine georgiano dopo un'avventura pazzesca: il giorno precedente: sarei dovuta entrare vicino a Kars ma, arrivata là, ho scoperto essere chiuso alle persone. Non avevo alternativa che raggiungere l’unico confine aperto, quello di Sarpi sul Mar Nero, a quasi 400 km in gran parte tra le montagne, ed erano già le quattro di pomeriggio. Mi metto la tuta anti pioggia, lo scaldacollo e giro la chiave, via tra freddo, nebbia e pioggia e panorami mozzafiato, arrivo al confine alle 11 di sera e niente in questo periodo chiude alle 9 di sera. Abbiamo dovuto dormire in un hotel sul confine e abbiamo ritentato il giorno successivo. Cos' abbiamo incontrato questo simpatico poliziotto.

Quali sono i posti che ti sono entrati nel cuore?

Ho provato un grandissimo stupore, quando alle pendici del Caucaso, nella regione dello Svaneti, vedo spuntare tra i villaggi e i greggi di mucche, decine di antiche torri difensive in pietra chiamate Koshkebi. Sembra una San Gimignano sulle montagne, penso. Poi scopro che Mestia è gemellata con la cittadina italiana dal 1975!

Mestia-2

Hai avuto momento di sconforto o paura?

Sconforto mai. Ma un pochino di paura sì quando ho percorso una delle strada più pericolose del mondo. Uno sterrato spettacolare a strapiombo sul fiume Eufrate, attraversando 22 gallerie scavate nella pietra dagli abitanti del luogo. Si chiama la Kemaliye Taş road. In certi punti la strada era talmente stretta che a malapena ci sarebbe passata solo un’auto. Ma parliamo anche delle cadute: le prime mi sembravano la fine del mondo, una ferita all'orgoglio, col tempo le ho normalizzate, succede, e ho imparato a cadere meglio, non restando più aggrappata alla moto. Non vedo l'ora di seguire corsi e viaggiare ancora sulle due ruote per migliorare sempre di più.

Cosa cambieresti di questo viaggio?

Nulla, tranne forse l'equipaggiamento. Quando ho fatto la valigia ad agosto in Friuli, non ho pensato minimamente al freddo. Alla pioggia, al vento sì. Ma non al freddo. Le temperature andando verso il Caucaso e anche al ritorno in Italia sono scese parecchio. In Turchia mi sono dovuta attrezzare. Sempre a Doğubeyazit, ho comprato dei sotto pantaloni e calzini termici, e un pile caldo, indumenti a cui non avevo pensato. Ho rimpianto anche di non aver portato il mio paio di guanti da moto invernali.

Che cosa vorresti dire alle altre donne che vorrebbero viaggiare in moto ma non ne hanno il coraggio?

La moto è il mezzo che ho scelto per raccontare che non bisogna mai permettere a nessuno di dirci cosa possiamo e non possiamo fare. Prima di partire tanti si sono prodigati nel dirmi che non avrei mai potuto fare questo viaggio in quanto donna e neopatentata, è un mondo ancora intriso di beceri pregiudizi, ma le cose stanno cambiando anche qua. Non dobbiamo neanche farci frenare dalla nostra paura di non farcela. Questo progetto, come un fil rouge, si lega alle mie precedenti esperienze di viaggio, vedi il sud est asiatico viaggiato da sola zaino in spalla e le due settimane di autostop in Europa.

Il viaggio in Europa

In Italia non ci sono molte motoviaggiatrici verso destinazioni extra-UE e anche le donne che le usano per spostamenti quotidiani sono una minoranza, sebbene in notevole crescita, e volendo vedere sempre più donne rappresentate nel mondo delle due ruote, ho voluto fare la mia parte. La Ténéré è stata una moto molto affidabile e non mi ha mai dato problemi. Sono stata felice di viaggiare con Amedeo, anche se non sempre andavamo alla stessa velocità, poter condividere la bellezza e le difficoltà del viaggio, è qualcosa di prezioso. E poi ho conosciuto tantissime persone che mi hanno supportata e incoraggiata sui social e che non vedo l’ora di incontrarle lungo la strada.

viaggio moto Francesca D'Alonzo

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