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Giovedì, 28 Marzo 2024
Economia San Daniele del Friuli

La qualità del prosciutto di San Daniele non si tocca, respinti gli "attacchi" di una multinazionale

Il tribunale amministrativo regionale respinge i ricorsi di una famosa azienda europea che voleva inserire nuovi tipi genetici tra i suini destinati alla Dop friulana e a quella del Prosciutto di Parma

I presupposti della qualità dei prosciutti di Parma e San Daniele non si toccano: il Tar respinge i ricorsi di una nota multinazionale relativi all’esclusione di alcuni tipi genetici da quelli ammessi a essere trasformati nei due celebri salumi.

A difendere San Daniele e Parma dagli attacchi alla radice della loro materia prima i due istituti di certificazione: l’Istituto Nord Est Qualità (Ineq) e l’Istituto Parma Qualità (Ipq). Tra le diverse attività che l’Ineq svolge assieme all’Ipq vi è anche la verifica dei presupposti di conformità dei tipi genetici impiegati per la produzione dei suini, che devono rispondere ad appositi requisiti prescritti dai disciplinari registrati fin dal 1996 secondo la vigente norma europea in tema di Dop e Igp. In proposito, i disciplinari fanno esplicito riferimento alle razze e ai requisiti registrati dal Libro genealogico italiano, ammettendo anche ibridi o altri tipi purché compatibili con le stesse finalità o, quantomeno, non incompatibili. Da circa dieci anni si è in proposito ingaggiato un autentico percorso a ostacoli, che ha fin qui prodotto la messa al bando di ben 31 diversi tipi genetici per i quali non è stata accertata l’esistenza di requisiti compatibili con gli obiettivi propri dei suino pesante italiano. Tuttavia, quasi ogni decisione viene contestata con l’accesso al giurì indipendente dell’Ineq e, nel 2013, si è giunti a un primo ricorso al Tar del Lazio, che gli Istituti hanno superato con un’esemplare sentenza.

Recentemente, a mettere in discussione l’esclusione di ben 5 tipi genetici immessi sul mercato suinicolo italiano, una nota multinazionale “globale”, particolarmente diffusa in Europa, la Topigs. Le decisioni degli istituti sono state contrastate con particolare aggressività fin dalla fase istruttoria e con un autentico potenziale destabilizzante. Ma a mettere fine al tentativo di imporre l’uso dei cinque tipi genetici, è intervenuta la sentenza del Tar del 16 febbraio scorso: i ricorsi sono stati tutti respinti in modo inequivocabile, avvalorando l’operato degli istituti e della Giunta di appello di Ineq che, da ultimo, ne aveva confermato in prima istanza congruità e correttezza. La decisione del Tribunale, oltre a rifarsi al precedente pronunciamento del 2013, abbraccia uno scenario particolarmente vasto che procede dalla specialità del contesto in esame, che non coincide certamente con il mercato globale, per considerare nello specifico il rispetto delle regole procedimentali, la congruità e la coerenza delle motivazioni addotte dagli istituti e, di contro, la carenza di adeguate controdeduzioni diverse da quelle generiche “di sistema”, senza eludere presunte questioni di conflitto di interessi o di mancata imparzialità accampate dai ricorrenti e ritenute tuttavia non rilevanti nel contesto esaminato.

Autentica soddisfazione è stata espressa dagli istituti Ineq e Ipq, particolarmente impegnati su questo versante del loro lavoro e costretti ad affrontare in contropiede questa ulteriore aggressione, condotta senza economie. «Ci siamo trovati ad operare – riferisce Francesco Ciani, direttore generale di Ineq - su un autentico fronte avanzato, una sorta di “prima linea” di difesa della giurisdizione dei disciplinari delle Dop-Igp contro i tentativi di penetrazione di tendenze indotte a supporto di scelte commerciali disposte a sacrificare la coerenza, le caratteristiche e le qualità tradizionali sul fronte di una supposta efficienza produttiva. Questa sentenza – aggiunge - è un’ulteriore dimostrazione che, sui fondamentali, il “sistema paese” regge e risponde a tutti i livelli se non si abbassa la guardia e se non si assecondano le sirene della competitività ad ogni costo, quando viceversa si opera in segmenti tradizionali e protetti dove l’evoluzione, che non può essere mai negata, ha tuttavia limitati spazi di compatibilità che vanno identificati e percorsi con prudenza,  con consapevole saggezza e con la regia dei consorzi di tutela».

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