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Cronaca Magnano in Riviera

"Così salvai il frico dalla sorte del tocai"

Da pilota di rally a "Re del frico". La storia di Franco Savio, il primo imprenditore in Friuli a scommettere nel piatto friulano come prodotto da commercializzare. E il suo appello per una sua tutela: "Molto del frico croccante già in commercio è bresciano. Fra qualche anno, se non lo certifichiamo DOP, potrebbe essere prodotto anche in Cina"

Non molti in regione conoscono questa storia. La storia di come il nome del tipico piatto friulano, il frico, non sia stato rimosso, come il tocai, a colpi di vertenze private o sentenze comunitarie. E sono in pochi a conoscere il nome del suo indiretto 'salvatore', l'ex rallista Franco Savio, chiamato anche 'Frico King' da alcuni suoi amici. Savio è di Tricesimo, nato nel 1960 a Tarcento, e dalla nascita ha sempre vissuto nel fantastico mondo caseario. Già da ragazzo si occupava nella società di famiglia, alla selezione e stagionatura di formaggi locali ed esteri. Questo fino a quando non venne catapultato nel settore automobilistico, che lo vide negli anni Ottanta e Novanta, gli anni d'oro del rally, diventare un pilota professionistico dal discreto palmares.

Appena smisi di fare il pilota, mi riavvicinai all'azienda di famiglia. Sentivo però che mi mancava qualcosa. Avevo già 33 anni e mi intestardii su una mia idea: commercializzare il frico. Mi ero sempre chiesto come mai nessuno avesse prodotto frico in quantità tali da poterlo commercializzare. Finalmente avevo una nuova sfida”. Fu così che Franco Savio iniziò un nuovo percorso non tanto diverso dalla pista da corsa, un percorso fatto di curve e dossi, dove spesso è difficile trovare buoni navigatori. Era il 1995 quando, a 35 anni, iniziò ufficialmente la sfida alla produzione del frico. “Che tipo di frico, di quale zona e come, furono degli step che affrontai di volta in volta, sbagliando e imparando. Il primo frico che misi in produzione seguiva la ricetta tradizionale carnica, di Fusea, con guanciale e cipolla. Negli anni, un po' alla volta, costruii i macchinari, calibrandoli, migliorandoli e inventandomeli con gli ingegneri. La prima messa in linea di una produzione di grandi quantità ebbe inizio solo 6 anni più tardi, nel 2001”.

Corsa al frico. La sfida del rallista Franco Savio alla produzione del piatto friulano

Fu però nei primi anni '90 che Savio ebbe la 'sfrontatezza' di registrare il marchio FricoNessuno lo aveva ancora depositato in Italia e pensai che me la potevo giocare, anche se sapevo che probabilmente sarei andato incontro a qualche rogna. Una grossa azienda olandese leader del settore, nientedimeno che i terzi produttori al mondo di formaggi, per pura coincidenza e sfortuna , si chiamava proprio FRICO (acronimo di Friesian Cooperative Dairy Export Association )”. Fu però solo nel 2001 che l'azienda olandese, vedendo i campioni di Frico Savio in una fiera in Giappone, iniziò a informarsi sulla sua esistenza e a diffidarlo dall'utilizzo del marchio frico poiché loro erano i depositari di quel nome in tutti i continenti. “Io lo avevo depositato solo in Italia per una ovvia questione di costi. Ma mi pareva scontato che il loro fosse solo una marchio aziendale, non il nome di un piatto tipico o di un formaggio. Io stesso, forse, feci una forzatura nel depositare quel nome, ma ci provai. Dopo alcuni anni e qualche tentativo di difesa tramite i miei legali, decisi però di gettare la spugna. Sembrava una battaglia impari, Davide contro Golia. Rinunciai così al simbolo ®, in favore del marchio olandese. In cambio mi rilasciarono una liberatoria, datata 2004, dove mi davano la possibilità di utilizzare la parola 'frico' nel packaging del piatto tradizionale udinese, sia in Italia che all'estero. Riuscii a fargli capire difatti, con tanto di documentazione ottocentesca alla mano, che il frico non era un formaggio, ma il nome di un tipico piatto locale friulano che nulla c'entrava con loro”. Fu così che Savio, grazie a quella liberatoria, aprì la porta a tutti i suoi potenziali competitor; e oggi, a 10 anni di distanza dalla stipula di quell'accordo, già 4 aziende, forse senza nemmeno saperlo, si sono lanciate liberamente nello stesso business.

C'è però un risvolto grottesco a questa 'liberalizzazione' creata indirettamente da Savio. Il classico rovescio della medaglia, una sorta di legge del contrappasso. Oggi chiunque può produrre frico. Che sia un'azienda cinese, una ditta siciliana, olandese o cinese. Tutt'oggi, in diversi punti vendita friulani insospettabili, è in commercio una qualità di snack croccante prodotto da una ditta bresciana, che all'ingrosso viene venduta addirittura con un altro nome. Il prodotto, essendo simile, viene comprato da diversi grossisti e rivenditori al dettaglio e riconfezionato poi come 'frico'. E' difficile accorgersene, se non impossibile. “Anche allo stand del FVG presente alla Bit di Milano qualche anno fa si è esposto del frico che in realtà era prodotto a Brescia e solo impacchettato in Friuli. E' una cosa paradossale. Sulle etichette infatti, come previsto per legge, è necessario riportare solamente il luogo del confezionamento, non dove lo si è prodotto; cosa che io reputo assolutamente sbagliata e infatti nelle mie etichette riporto entrambe le informazioni. Il frico andrebbe tutelato maggiormente e l'unica strada per farlo è fargli ottenere una certificazione DOP (denominazione di origine protetta), inserirlo cioè fra quegli alimenti le cui peculiarità dipendono esclusivamente dal territorio. Una strada complicata che già tentai di percorrere, non senza difficoltà, circa 9-10 anni fa. Ritengo doveroso che un'azienda che produce frico abbia la sede di produzione e di confezionamento in Friuli. Se presto non si corre ai ripari diventerà sempre più allettante delocalizzare, magari in Austria o in Slovenia, e di conseguenza mangiare frico prodotto da chissà dove”.

Conosciamo ora un po' meglio i numeri dell'azienda di Savio. La sua ditta, con sede a Bueriis, piccola frazione di Magnano in Riviera, ha sei dipendenti e produce per lo più due prodotti: il frico croccante, da mangiare come snack, e il frico con patate, da scaldare alla piastra. “Abbiamo una serie di certificazioni che ne garantiscono la qualità, e, nonostante nella tradizione fosse considerato un piatto pesante, noi lo abbiamo trasformato, rispettando gli ingredienti, in un piatto leggero e digeribilissimo, con una tabella tradizionale da invidia. Ho diversificato le linee per accontentare un po' tutti, dai celiaci ai vegetariani, dagli amanti del biologico agli amanti della pancetta”. Attualmente Savio produce circa di 1 milione di pezzi, considerando l'intera sua gamma in offerta, e si avvale di diversi canali distributivi: bar, mense, catering, distributori automatici, sagre, fiere, normal trade, daily food, distribuzione organizzata e specializzata. I grandi numeri, però, li realizza da 'private label', ovvero producendo frico con marchi personalizzati per altri clienti. Numeri impressionanti, che lo posizionano al primo posto fra i produttori al mondo di frico. Sono stato il primo a credere in questo prodotto. Tutti mi guardavano straniti. Qualche amico addirittura mi derideva. Ma più mi canzonavano, più alimentavano la mia personale 'corsa'. Pensi, da poche settimane è uscita la mia ultima linea di frico croccante. Si chiama 'Superfrico' e la distribuisco con il mio nome. E vuole sapere qual è il traguardo che ho appena raggiunto? La Regione ha riconosciuto il mio lavoro, i miei meriti, diretti e indiretti, è ha deciso di pregiarmi con il suo logo (FriuLI VEnezia Giulia), una sorta di riconoscimento a quello che credo di aver dato alla mia terra”.

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