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Cronaca

La madre di Michele esce dall'anonimato: “quella lettera è vera”

I genitori del giovane suicida confermano l'autenticità delle parole scritte dal figlio "stanco di cercare di sopravvivere". La scelta è stata fatta per eliminare definitivamente i sospetti circolati in questi giorni

E' Michele Valentini l'autore della lettera-testamento, stanco di vivere di precariato, che tanto ha fatto parlare in questi giorni. A chiedere al Messaggero Veneto di pubblicare per la prima volta il cognome del trentenne morto suicida è la madre, Grazia Zuriatti, accompagnata dal padre, Roberto Valentini. I genitori hanno scelto di uscire dall'anonimato per zittire alcuni sospetti circolati in questi giorni e per porre fine a quei (leciti) dubbi di chi prova a controllare le fonti. Fra questi riportiamo in fondo all'articolo il punto di vista di Enrico Mentana che sulla vicenda aveva preferito sorvolare, astenendosi dal riprendere la notizia o dal commentarla in assenza di verifiche. 

E' calato, dunque, il muro protettivo costruito intorno a Michele. Questo pur di togliere ogni sospetto dalla sua figura e rendergli una volta per tutte i meriti che gli vanno giustamente attribuiti per aver smosso così tante coscienze in Italia e altrove

"Nostro figlio è stato ucciso dal precariato -spiegano i genitori a Elena Del Giudice, la giornalista del quotidiano friulano che in questi giorni ha seguito da vicino la triste e toccante vicenda -. “Il suo grido è simile a quello che pensano ogni giorno altri migliaia di giovani di fronte a una realtà che distrugge i sogni”. La lettera è vera, spiegano. “Michele scriveva molto bene. Una copia è in possesso dei Carabinieri, noi abbiamo l’originale”. 

La madre, sicuramente provata dalle pressioni mediatiche di chi in questi giorni, nonostante il silenzio richiesto, ha provato a contattare lei e il marito per avere interviste esclusive, informazioni e conferme, ha riferito che la lettera è stata trovata in casa dopo una lunga ricerca, in una tasca di una giacca dove era stata lasciata da Michele insieme alla carta d’identità. “L’hanno cercata disperatamente, come chiunque avrebbe fatto” ha scritto Elena Del Giudice. “Un’angosciante ricerca di uno scritto in grado di spiegare le ragioni di un gesto disperato”. 

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