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Cronaca

Aldo Cazzullo: "La Resistenza non è solo di sinistra, ma il patrimonio di una nazione"

Intervista al giornalsita e scrittore, autore del testo 'Possa il mio sangue servire. Uomini e donne della Resistenza' che sarà presentato a Udine domenica 24 maggio

Un viaggio tra le storie della Resistenza, per raccontare alle nuove generazioni i valori di chi ha combattuto a favore della liberazione. Ma anche e soprattutto per ridare fiducia al futuro. È questo, in estrema sintesi, il contenuto del testo ‘Possa il mio sangue servire. Uomini e donne della Resistenza’ che l’autore Aldo Cazzullo, giornalista e scrittore, presenterà a Udine domenica 24 maggio alla Libreria Moderna.

Per Cazzullo la Resistenza è "un patrimonio di una nazione e non di una fazione, perché per anni è stata considerata come se fosse solo di sinistra. Fu certamente fatta dai partigiani, tra cui c’erano comunisti, socialisti, liberali, cattolici e monarchici. Ma fu compiuta anche dalle donne e dai civili, da ebrei e carabinieri, da suore e sacerdoti o dagli internati in Germania di cui non si parla mai, ovvero di quei 615 mila soldati che preferirono restare a patire la fame nei lager piuttosto che andare a combattere a Salò”.

Secondo lei come nasce la Resistenza?
"I fattori sono tanti: è un lago con molti rivoli, ognuno ha la sua storia. Ci furono sicuramente le esigenze. Le file dei resistenti si ingrossano quando Salò manda giovani leve nate e cresciute col fascismo, che si trovano di fronte a una scelta: qualcuno va a proprio a Salò, qualcuno si nasconde e qualcuno, invece, combatte contro il fascismo e nazismo. Non è vero che gli italiani fossero tutti fascisti: c’erano infatti anche gli antifascisti militanti che erano una minoranza e coloro che invece dovettero tollerare la dittatura. Quando poi ci fu l’occasione di insorgere, molti lo fecero: c’erano gli antifascisti, quelli che lo diventano man mano che l’Italia combatteva la guerra e i fascisti che osteggiarono i tedeschi quando se li trovarono in casa”.

La Resistenza però ha avuto anche le sue pagine nere: secondo lei se ne parla a sufficienza?

“Per molto tempo non se ne è parlato abbastanza (pensiamo a Porzus) mentre negli ultimi anni è sembrato che i partigiani fossero i cattivi e invece i ragazzi di Salò fossero vittime innocenti: in realtà i vinti, sono vinti dopo il 25 aprile e avevano il coltello dalla parte del manico. Ci voleva moltissimo coraggio per opporsi ai nazisti e, chi ci ha provato, lo ha fatto in diversi modi: per esempio c'erano i ferrovieri che rallentavano i treni in corsa per permettere ai deportati di fuggire, alcuni medici che firmavano certificati falsi a rischio della vita, fino ai contadini che, di certo, non amavano i partigiani e avrebbero preferito stare per contro proprio e rimanere legati alla propria terra, ma si trovarono di fronte a una scelta da compiere. Bisogna raccontare anche le pagine nere che fanno parte della storia nell’interesse della grande maggioranza dei resistenti. Nel confine orientale si sono verificati episodi drammatici e ciò diventa ancora più doloroso perché c’erano partigiani comunisti egemonizzati dai titini che volevano fare di questa fetta di Italia la Jugoslavia”.

Il libro riporta anche alcuni episodi toccanti, espressi nelle vicende e nelle lettere di alcuni combattenti. Qual è il sentimento che accompagna ed eventualmente accomuna questi personaggi?

“Tutti si pongono il problema del ‘dopo’ e non hanno parole di odio ma di riconciliazione. Ci sono storie come quella di Pietro Ferreira, un ufficiale dell’esercito che, dopo l’8 settembre, sta coi tedeschi. Ne vede le atrocità e così diventa capo partigiano. Prima della fucilazione scrive al tenente Barbetti, della Repubblica di Salò, un nemico, che però ha cercato di salvargli la vita. Oppure c’è la vicenda di Guido Pasolini, il fratello del celebre poeta, che scrive una lettera a Pierpaolo: ‘dì alla mamma che ci mandi dei fazzoletti tricolori’. Poi, mentre sta andando a farsi ammazzare, gli chiede scusa per non avere avuto tempo di rileggere la lettera stilata in un italiano non perfetto”.

Ci sono, a suo giudizio, altre forme di ‘resistenze’? Come per esempio quella dei profughi che fuggono dal proprio paese alla ricerca di una vita migliore?

Personalmente sono molto diffidente quando la Resistenza è tirata fuori dal suo contesto reale e applicata alle cause di oggi – seppur giuste –. È stato un fenomeno ben preciso e circoscritto nel tempo. Iniziato nel ’43 e proseguito fino al 25 aprile del’45. Lo spirito della Resistenza che ci può servire oggi, oltre alla difesa dei valori, libertà e democrazia già sanciti dalla stessa e dalla Costituzione, è quello della ricostruzione. C’è un bel capitolo del libro in cui la partigiana Anna Filippini Lera, scrive al padre: “L’Italia è a pezzi ma la ricostruiremo, ricostruiremo le nostre vite e non ci sarà gioia più grande”. Ecco cosa voglio trasmettere ai ragazzi: noi dobbiamo vincere la guerra contro la sfiducia e il degrado morale del nostro paese. Quel sacrificio di ieri può servire oggi come esempio”.

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