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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cronaca

Vuole tornare in India con il rimpatrio volontario assistito ma è la stessa legge italiana a bloccarlo qui

Protagonista della paradossale vicenda è un indiano, in Friuli dal 2000, che dopo aver presentato domanda di rimpatrio è fermo in Italia privo di permesso, lavoro e casa

Ha chiesto di ritornare nel suo paese d’origine, l’India, tramite il percorso di rimpatrio volontario assistito ma, nonostante lo spostamento di diversi milioni di euro dal sistema di accoglienza ai progetti di accompagnamento sia forzati che volontari, per lui come per molti altri stranieri presenti in Italia il rientro è un miraggio.

La storia

Stiamo parlando di un uomo di 43 anni, ormai senza lavoro e senza fissa dimora, arrivato a Udine nel 2000 e che da quattro mesi ha presentato domanda di rimpatrio perché qui non riesce più a lavorare, non ha più un posto dove dormire ed è disposto a rischiare la vita tornando in India, piuttosto che vivere in condizioni disperate in Italia.

Chi è

Già, perché lui è un sikh originario del Punjab, nel nord del paese, e come tale è perseguitato dal governo indiano che negli anni ha discriminato la sua etnia commettendo un vero e proprio genocidio. «Mia madre e mio padre sono morti, i miei cognati mi hanno derubato di tutti i terreni della famiglia. Non posso tornare al mio villaggio perché verrei ucciso – ci racconta con le lacrime agli occhi – e quindi vorrei andare a Calcutta e aprire una piccola attività».

La trafila burocratica

Peccato che, al momento, questi rimangano solo desideri. Quando più di quattro mesi fa l’uomo ha presentato domanda, l’Oim, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni che era uno dei soggetti detentori dell’appalto per prendere in carico le domande di rimpatrio volontario, ha accolto la domanda anche se il nuovo bando ministeriale è andato parzialmente deserto. Quindi quella che l’indiano ha in mano è carta straccia. Un foglio che attesta la sua richiesta ma che non ha nessun valore e che, però, essendo stato emesso lo rende intoccabile dalla stessa legge italiana. Con questo foglio in mano, infatti, l’uomo non può essere giudicato irregolare nonostante non sia più in possesso del permesso di soggiorno.

La sua vita in Italia

Un assurdo burocratico che ha fatto sì che l’indiano, in attesa della risposta dello Stato rispetto alla sua domanda, vivesse nei mesi di novembre e dicembre per strada, prima di trovare rifugio al dormitorio udinese di via Rivis dove però non potrà permanere ancora a lungo. L’uomo però ha sempre lavorato, incappando in situazioni più o meno positive. Appena giunto in Italia, ha trovato occupazione con i giostrai del Luna Park che si spostavano tra il Friuli e il Veneto. Per tre anni ha poi fatto il giardiniere nella bassa friulana (quando ce lo dice si inumidiscono gli occhi e capiamo che è stato uno dei momenti più sereni della sua permanenza qui) e successivamente ha trovato impiego come saldatore. «Lì ho capito che cercavano di sfruttarmi, pagandomi pochissimo e facendomi fare turni da 12 ore». Prima di ritrovare quello che sembrava essere un lavoro con un contratto serio, ha dato per diverso tempo una mano all’interno della mensa di via Ronchi, non solo servendo i pasti, ma anche mettendosi a disposizione per pulizie e piccoli lavoretti. Poi la svolta. Nel 2010 sembrava aver trovato un’occupazione che gli avrebbe garantito una certa stabilità, all’interno di un’azienda agricola del medio Friuli. Ma una volta giunto in Questura per il rinnovo del permesso di soggiorno, l’uomo ha scoperto che il contratto che gli avevano fatto firmare era completamente falso.

Il limbo

Da allora è stato un susseguirsi di trafile burocratiche, lavori irregolari, dormite all’addiaccio e continui colloqui in Questura per venire a capo di una situazione paradossale che sta colpendo molte altre persone “inesistenti” per la legge. Queste sono infatti prive di status giuridico, quindi di diritti e di doveri e impossibilitati anche a regolarizzare la loro situazione qualora decidessero di cercare un lavoro. Attualmente l'uomo vive possedendo solo uno zaino dentro il quale custodisce gelosamente il plico di carte e documenti e i pasti che gli vengono forniti dalla mensa gestita dalla Caritas.

Come funziona il rimpatrio

I fondi messi a bando dal ministero dell'Interno per il rimpatrio volontario assistito dei migranti dall'Italia sono dodici milioni di euro, di cui la metà coperti dalla Unione europea, ricavati dal taglio ai programmi di accoglienza. I destinatari sono cittadini stranieri che si trovano irregolarmente sul territorio italiano o che, pur essendo regolari, vogliano far rientro nel loro paese d'origine e facendo domanda presso alcuni enti ufficialmente riconosciuti tramite bando. Rispetto al bando passato, il Viminale ha cambiando i requisiti per la gestione del budget imponendo alcuni rigidi paletti e massimali che hanno impedito alle organizzazioni e associazioni già impegnate nel servizio, Inclusa l’Oim che da tempo gestisce i rimpatri volontari assistiti, di rientrare nell'assegnazione del bando attualmente fermo.

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