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Giovedì, 25 Aprile 2024
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Bonifiche truffa nella laguna di Grado e Marano: 26 indagati

Le accuse, mosse in seguito a un'inchiesta della Procura della Repubblica di Roma, si riferiscono a associazione per delinquere, falso, truffa ai danni dello Stato, tentata corruzione, concussione e abuso d'ufficio

Uno stato di emergenza ambientale concepito e alimentato al solo scopo di ottenere denaro dal ministero, per bonifiche che in realtà non sono mai state eseguite (e soprattutto delle quali non ci sarebbe stato bisogno) . Concepiti progetti di risanamento faraonici, ma irrealizzabili. E anche minacce di controlli di polizia, denunce e ispezioni ministeriali agli imprenditori di Porto Marghera.

Sono i meccanismi con cui un gruppo di soggetti, tra cui esponenti di spicco dell'apparato romano, imprenditori e politici locali di Friuli Venezia Giulia e Veneto, avrebbero trovato il modo di far circolare un cospicuo flusso di denaro pubblico, in cambio di assunzioni e l'assegnazione di incarichi di progettazione sempre ai "soliti amici".

A portarli alla luce è stata una maxi inchiesta della Procura di Roma, con accertamenti della Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Roma e dei Carabinieri della Compagnia di Cividale del Friuli, che vede 26 indagati a vario titolo per associazione per delinquere, falso, truffa ai danni dello Stato, tentata corruzione, concussione e abuso d'ufficio. Molti si sono visti recapitare un avviso di garanzia in vista di un interrogatorio davanti al pubblico ministero.

A dare il via all'inchiesta capitolina era stata un'indagine avviata dalla Procura di Udine sui fiumi di denaro, circa 100 milioni di euro, erogati nei dieci anni di commissariamento del Sin della Laguna di Grado e Marano, cancellato con decreto del 6 aprile 2012 dell'allora presidente del Consiglio Mario Monti. L'indagine si è allargata fino a coinvolgere i nomi di funzionari romani del ministero dell'Ambiente, delle sue società in-house, dirigenti di Ispra e Arpa, ex commissari dell'emergenza in laguna, soggetti attuatori e dipendenti di alcune società già coinvolte nello scandalo del Mose, come il Consorzio Venezia Nuova, tra cui il presidente Giovanni Mazzacurati.

Ideatore e promotore del sistema sarebbe stato Gianfranco Mascazzini, ex direttore generale del ministero dell'Ambiente, membro del comitato tecnico scientifico del commissario per Grado e Marano e consulente Sogesid. Sospetta l'esagerata perimetrazione dell'area della Laguna per un presunto inquinamento da mercurio, con costosissimi carotaggi e piani di caratterizzazione mai validati. Ma anche il progetto di risanamento ambientale che si continuava a voler imporre alla Caffaro chimica di Torviscosa, progetto faraonico da 230 milioni di euro di Sogesid (per la progettazione del risanamento aveva ricevuto 1.150.000 euro), che sarebbe stato "tecnicamente improponibile ed economicamente insostenibile". A Porto Marghera, invece, il meccanismo utilizzato era quello delle "transazioni ambientali": gli indagati avrebbero indotto numerosi imprenditori proprietari di immobili ad aderirvi, facendo entrare nelle casse del ministero ingenti somme di denaro poi riversate al Consorzio Venezia Nuova. In questo modo l'obbligo di bonifica si trasferiva sul ministero "che sistematicamente non vi provvedeva", determinando un perdurare del danno ambientale esistente. 

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