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Cronaca

Coronavirus, dubbi sui test sierologici: allarme dell'associazione dei microbiologi

L'associazione dei microbiologi italiani dichiarano che i falsi negativi possono raggiungere anche l'80% con alcuni kit: in Fvg sono 299 i sanitari contagiati

L'allarme parte dai Microbiologi Italiani: «non si conosce la cinetica anticorpale del virus». Secondo l'associazione, non si devono alimentare false speranze sui test sierologici. «Il ragionamento è semplice: i test sierologici vengono impiegati per cercare gli anticorpi generati in risposta ad un’infezione. Il riscontro di anticorpi delle diverse classi di immunoglobuline (M, G, A) dipende dalla cosiddetta cinetica anticorpale, dalla durata nel tempo degli anticorpi e dalla loro immunogenicità».

Il problema, a quanto espresso dai microbiologi, è che proprio la «cinetica anticorpale del virus SARS CoV-2 è sconosciuta, sia in fase iniziale di COVID-19, sia in fase conclamata sia, da ultimo, dopo la risoluzione clinica della malattia», così scrive l'esperto Pierangelo Clerici, Presidente dell'Associazione Microbiologi italiani (AMCLI).

Come funziona

La risposta sierologica (umorale) è caratterizzata da una fase precoce e solitamente limitata nel tempo (IgM) e da una fase più tardiva e solitamente stabile nel tempo (IgG). Ancora più incerto è il ruolo di anticorpi di classe IgA. «È evidente, anche per i non esperti, che se non è ancora nota la dinamica anticorpale di questo virus, il significato e l'affidabilità dei test sierologici vengono meno, ridimensionando gli annunci trionfalistici che rischiano di dare false speranze. Intanto, da fonti sanitarie, si apprende che il numero odierno degli operatori sanitari contagiati in Friuli Venezia Giulia è salito a 299. L'età mediana dei contagi è di 58 anni», si legge nella nota dell'associazione. 

I presunti guariti

Non si riescono ad interpretare i dati anticorpali neppure nei (presunti) guariti, denunciano i microbiologi. «Alcuni dati preliminari indicano che la comparsa degli anticorpi si sviluppa dopo diversi giorni dall’infezione (7-14, mediamente 10, tanto che sembrerebbe che solo il 20% dei soggetti malati presenti anticorpi dopo 4 giorni), che la positività non è rilevabile in tutti i pazienti ricoverati e che i dati - ancora pochi - nei pazienti clinicamente guariti non sono interpretabili», spiega Clerici nel documento ufficiale. 

Scarse conoscenze 

L'Associazione Microbiologi ribadisce che «le conoscenze attuali sono modeste e i dati sono non conclusivi su: tecnica di rilevazione, cinetica anticorpale, predittività diagnostica e prognostica», che «i dati di sensibilità analitica sono modesti (60% in soggetti certamente affetti da COVID 19 perché sintomatici e positivi al test biomolecolare), che i risultati sono per lo più difficilmente valutabili per la mancanza, spesso dichiarata, dei test di neutralizzazione» e che «l’impatto diagnostico è modestissimo se non fuorviante se è vero che i falsi negativi – con taluni kit – raggiunge la quota dell’80%»

«Fino alla disponibilità di dati di letteratura certi - conclude - o di risultati consolidati di valutazioni policentriche non si ritiene opportuno procedere con l’introduzione, in algoritmi operativi, dei test sierologici né per la definizione eziologica di infezione né per valutazioni epidemiologiche di sieroprevalenza».


 

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