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Cronaca

Gli archeologi udinesi difendono la civiltà del Kurdistan

A 60 chilometri dallo scempio dell'Isis a Mosul, l'Università di Udine lavora con la Direzione delle antichità della regione iracheno settentrionale

Sono soltanto una sessantina i chilometri che separano Mosul, dove i miliziani del sedicente Stato islamico hanno fatto scempio di monumenti e libri dell’antica civiltà assira, e Dohuk, dove dallo scorso 25 gennaio gli archeologi dell’Università di Udine sono impegnati nella formazione dei membri della Direzione delle antichità per la protezione e valorizzazione del patrimonio culturale del Kurdistan iracheno settentrionale. Presso il Museo archeologico di Dohuk, nell’ambito del “Progetto archeologico regionale Terra di Ninive - PARTeN”, avviato dall’ateneo friulano nel 2012, fino al 20 marzo prossimo proseguirà la prima serie di quattro corsi voluti in accordo con le locali istituzioni per contribuire al potenziamento delle competenze locali nella gestione dei beni archeologici, culturali e naturali, in un momento in cui – come i recentissimi fatti dimostrano – il ricchissimo patrimonio culturale della regione, nel cuore dell’antica Mesopotamia, è gravemente minacciato dall’espansione dello Stato islamico.

Il “Progetto di formazione Terra di Ninive” è finanziato dalla Cooperazione Italiana allo Sviluppo del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (Task Force Iraq) e diretto da Daniele Morandi Bonacossi, docente di archeologia e storia dell’arte del Vicino oriente antico dell’Università di Udine e direttore del progetto PARTeN. Si svolge attraverso corsi specifici nel campo dei beni archeologici, principalmente attinenti alle metodologie e tecniche di scavo e ricognizione archeologica, alla geoarcheologia, alla bioarcheologia e alle tecniche di illustrazione dei materiali archeologici. A Dohuk sono attualmente impegnati per l’Università di Udine Marco Iamoni e Alessandro Canci, insieme a specialisti di altri atenei.

Nella prossima estate saranno tenuti anche due corsi dedicati al restauro dei materiali archeologici e alla formazione di operai specializzati nello scavo archeologico. «Il Progetto – sottolinea Morandi Bonacossi - mira anche a promuovere una diffusa coscienza pubblica riguardo alla protezione, conservazione e restauro del patrimonio archeologico regionale attraverso la divulgazione di informazioni e conoscenze che intendono contribuire allo promozione del turismo e dello sviluppo socio-economico della popolazione locale».

Attualmente è in corso il restauro dei più importanti reperti archeologici conservati nel Museo di Dohuk - dove sarà allestito anche un laboratorio di restauro - e specialmente attraverso la documentazione, protezione e valorizzazione del complesso idraulico monumentale costruito dal re assiro Sennacherib con lo scopo di irrigare l’entroterra di Ninive e portare l’acqua fino alla sua capitale. Con l’ausilio delle più moderne e aggiornate tecnologie digitali messe a disposizione dall’Istituto per le tecnologie applicate ai beni culturali del CNR (Laser Scanning e fotogrammetria digitale 3D), sono in corso di realizzazione la documentazione e il rilievo di questo articolato sistema di irrigazione (240 km di lunghezza) con i suoi canali, dighe, acquedotti monumentali in pietra e i rilievi rupestri rappresentati il sovrano e le principali divinità assire. L’elaborazione di un progetto di protezione e gestione di questo unico ed eccezionale sistema idraulico permetterà anche di presentare una proposta di inserimento dell’intero complesso nella “World Heritage Tentative List” dell’Unesco.

Il “Progetto di formazione Terra di Ninive” trae le sue origini dal programma di ricerca archeologica condotto nel Kurdistan Iracheno (Governatorato di Dohuk) a partire dal 2012 dalla Missione Archeologica Italiana dell’Università di Udine in Assiria, in collaborazione con la Direzione Generale delle Antichità di Dohuk ed Erbil (KRG – Ministero delle Municipalità e del Turismo), il Ministero del Turismo e delle Antichità iracheno (State Board of Antiquities and Heritage) e l’Istituto per le Tecnologie Applicate ai Beni Culturali del CNR.

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